XXX Domenica del Tempo Ordinario

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26 - Ott - 2019
Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXX Domenica del Tempo Ordinario

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La liturgia di questa domenica continua a parlare della preghiera. Se la scorsa domenica ci aiutava a comprendere in che modo una preghiera autentica ci pone davanti a Dio e in che maniera si mescola con la concretezza della vita, questa domenica le letture ci svelano che, diversamente da come molte volte si pensa, una preghiera autentica dipende dalla relazione che abbiamo con gli altri. Essa non è dunque qualcosa che si risolve fra la persona e Dio, ma al contrario qualcosa che è del tutto condizionato dalla relazione con i fratelli e le sorelle. Se così non fosse la preghiera diventa la copertura per rassicurarci di quello che siamo e persino per giustificare devianze, anche terribili, o persino il male che facciamo agli altri, per i quali poi – senza rimediare in alcun modo al danno inferto – diciamo di pregare. La prova che davvero ci mettiamo davanti a Dio consiste nella giusta relazione con il fratello. Senza questa non si dà preghiera alcuna.

Gesù racconta la parabola di un fariseo che sale al tempio. Un uomo rispettoso della legge, un giusto quindi, ma anche un virtuoso perché digiuna due volte a settimana e paga la decima. Questo uomo ringrazia Dio per quello che è, facendo il confronto con l’altro al quale è ben contento di non assomigliare. “Grazie perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e nemmeno come questo pubblicano”. Sembra di vederlo voltarsi verso l’altro, persino indicarlo con un cenno del capo. Si percepisce il disprezzo che prova per il pubblicano e che gli permette di sentirsi migliore di lui.

In questa condizione non si può pregare. Ciò che impedisce di stare davanti a Dio non sono i peccati commessi – come dimostra proprio la preghiera del pubblicano –  ma il fatto di volersi sentire migliori dell’altro. Ciò che ci preoccupa infatti, in questo caso, non è aprire il nostro cuore perché Dio lo renda giusto, plasmato secondo la sua logica, ma ci preoccupiamo solo di noi stessi e di confermarci in quello che siamo. In fondo Dio, come l’altro che disprezziamo, non ci serve: ci bastiamo.
Quando invece si apre la propria interiorità a Dio senza veli, come fa il pubblicano, si vedono tutte le proprie mancanze e le proprie fatiche ma proprio in queste ci si scopre infinitamente amati e così si entra nella logica di Dio che ci insegna a guardare gli altri come lui guarda noi: amando sempre e comunque.
La prima lettura tratta dal Siracide ci dà una chiave per trovare una posizione che ci impedisca di disprezzare l’altro. Il disprezzo dell’altro infatti si manifesta ogni volta che ci si pone in posizione di forza, anche quando non si fa del male e ci si mostra magnanimi, perché è comunque un tipo di relazione in cui l’altro viene considerato inferiore. Fino a che si sta in questa relazione con il fratello la preghiera non è autentica, non attraversa le nubi, essa resta sulle nostre labbra e non viene ascoltata, perché si sta parlando solo con se stessi, si è soli e non ci si rivolge a nessuno. D’altra parte se davvero il cuore fosse aperto davanti a Dio e lo ascoltasse, non potrebbe che assumere la sua logica e quindi guardare all’altro come profondamente amabile.
Nella seconda lettera a Timoteo, infatti, dopo una vita trascorsa a servire gli altri annunciando il Vangelo e curandosi di loro, al momento di affrontare la morte, l’incontro con Dio viene pensato come una libagione, un vino versato sopra l’offerta preziosa, che sono proprio gli altri, quelli cui ci si è dedicati e per i quali si sono esaurite le forze. Quelli che abbiamo amato, dando loro vita, sono ciò che offriamo al Signore quando preghiamo. Ci sembrerà di aver fatto sempre troppo poco, perché l’altro meritava di più (ci batteremo il petto, forse per i fallimenti e le incapacità nel servirlo), ma comunque lo metteremo davanti a Dio come ciò che abbiamo di più prezioso, perché lui se ne rallegri.
Allora ameremo quelli che Dio ama e potremo benedirlo in ogni tempo, portando sulla bocca una lode autentica che il Signore ascolterà, liberandoci e facendosi vicino.
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