Solennità di Cristo Re (A)

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20 - Nov - 2020
Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

Solennità di Cristo Re (A)

(Ez 34,11-12.15-17   Sal 22   1Cor 15,20-26.28   Mt 25,31-46)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Siamo così arrivati alla fine del venticinquesimo capitolo del Vangelo di Matteo che ci ha accompagnato in queste domeniche. Siamo stati portati in mezzo alle dieci ragazze che attendono lo sposo per chiederci se viviamo la vita intenti a procurarci ciò che serve per l’incontro: se abbiamo con noi l’olio per riaccendere le lampade. Poi siamo stati messi in mezzo ai servi che, ricevute le monete da amministrare, attendono il ritorno del padrone, per scoprire che ciò che serve per attendere l’incontro con Dio è il coraggio di vivere la vita spendendo se stessi in ciò che Dio ci mette tra le mani perché porti frutto e si moltiplichi. Oggi, veniamo portati davanti al giudizio finale.

In realtà una forma di giudizio si aveva anche nelle altre domeniche: sei una ragazza stolta o saggia? sei un servo buono o infedele? Oggi per parlare del giudizio, però, veniamo portati in mezzo al gregge (bellissima l’immagine della prima lettura del profeta Ezechiele) e veniamo passati in rassegna: ogni pecora conosciuta e guardata, recuperata da dove si era dispersa, fatta riposare, curata e scrutata per cogliere la verità di ciascuna. Il giudizio, così, non è presentato come qualcosa di terribile, ma come una cura di Dio che lenisce le ferite che ci siamo fatti e mostra la verità su quelle che abbiamo inferte ad altri.

Questo giudizio, il suo sguardo cioè, rivela se ciò che abbiamo vissuto, se il modo in cui abbiamo impiegato i talenti, ha portato frutto oppure è stato un seppellire ciò che ci era stato affidato e quindi ora ci ritroviamo con le lampade spente. Per sapere questo però Dio ci spinge a guardare fuori di noi. Non sappiamo infatti se siamo stati saggi e ci siamo spesi per far fruttificare quanto ci è stato affidato (piccolo o grande non importa: solo Dio lo sa) se non guardando gli altri. La nostra bontà (servo buono, benedetto) non si scopre guardando se siamo stati moralmente corretti, quali intenzioni avevamo, quali doti o capacità, se abbiamo avuto successo o se abbiamo rispettato le regole, la bontà dei servi, la differenza fra le pecore e le capre, si misura su come stanno gli altri che ci sono affidati. Se le persone che abbiamo avuto intorno a noi, a cominciare dai più piccoli, hanno avuto modo di nutrirsi e dissetarsi (di avere cioè la possibilità di una vita dignitosa), di trovare casa e vestiti (di essere cioè riconosciute nella loro dignità per vivere le indispensabili relazioni umane) e di essere consolate nella malattia e nella colpa (di poter toccare con mano cioè che non c’è condizione in cui Dio non ami e non si faccia presente), se le persone intorno a noi hanno, in una parola, ricevuto un po’ di vita dal nostro ordinario e persino inconsapevole (quando Signore?) operare, il giudizio di Dio rivelerà che abbiamo fatto fruttare i nostri talenti, che siamo servi buoni e fedeli, saggi tanto da trovarci una lampada colma d’olio come se la notte non fosse nemmeno iniziata.
Il giudizio infatti è condotto secondo i criteri di Dio e quindi secondo l’amore che inevitabilmente ci spinge a far vivere quelli chi amiamo, liberandoli in ogni modo dal male. Per questo chi vive combattendo il male che fa soffrire gli esseri umani e cercando di alleviare le loro fatiche, condivide lo stesso regno di Cristo che è re proprio in questo suo dominio sul male, realizzato con il servizio, la cura, il dono silenzioso e misconosciuto di sé. E questo suo regno, che si diffonde e si rafforza in quelli che credono in lui, conduce contro il male una lotta senza quartiere quanto nascosta in cui l’ultimo nemico ad essere sconfitto (così san Paolo nella seconda lettura) sarà la morte.
Davanti a questo Signore dobbiamo comparire, per questo conviene andare ad incontrarlo non con le mani pulite di chi si è preso cura di sé, ma con le mani sciupate di chi allevia le fatiche altrui arrivando a sporcarsi con il male che li minaccia. Allora sarà evidente che siamo state pecore docili che si sono fatte condurre sulla stessa via che il pastore ha scelto per sé e con lui, una volta fasciate le ferite e sconfitti tutti i nemici, entreremo in quella vita che noi stessi abbiamo cercato di moltiplicare per quelli che ci erano stati affidati.
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