V Domenica T.O. (B)

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05 - Feb - 2021

Tempo Ordinario

V Domenica T.O. (B)

(Gb 7,1-4.6-7   Sal 146   1Cor 9,16-19.22-23   Mc 1,29-39)
Domenica 7 Febbraio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Gesù esce dalla sinagoga dove aveva zittito e cacciato uno spirito impuro ed entra in una casa. Entra nello spazio della quotidianità, delle relazioni, della vita reale fatta di problemi e piccolezze, delle gioie semplici del tempo condiviso che lega le persone. Il Signore Gesù non varca i palazzi del potere, i palcoscenici o i luoghi adibiti al sacro, entra invece nella casa delle persone semplici, che lavorano e hanno famiglia. In questo spazio, che è il nostro, comincia a combattere il male: caccia la febbre della suocera di Pietro quindi ingaggia una vera e propria lotta contro malattie e demoni. La porta della casa abitata da Gesù si spalanca e offre guarigione, liberazione, vita. Comincia dopo il tramonto del sole e poi al mattino presto (ha continuato per tutta la notte?) si ritira in preghiera.

Questa notte era stata forse come quella di Giobbe descritta dalla prima lettura di questa domenica: davanti a tanto dolore, a tanti bisogni degli esseri umani, il tempo che correva via, la sua stessa vita poteva sembrare a Gesù un’illusione, una spola del telaio che fa avanti e indietro continuamente. L’impresa di liberare tutti non era possibile, per un guarito ce n’erano un’infinità afflitti da altre sofferenze. “Ricordati che un soffio è la mia vita”: così Giobbe di fronte all’assurdo della sua malattia e forse così anche Gesù di fronte alla sofferenza del mondo. Semplicemente soverchiante.

Si raccoglie in preghiera. Poteva fermarsi nella casa di Pietro, farsi amare da quelli che beneficava, diventare il loro punto di riferimento, contare ogni giorno il bene fatto, godere di quello che poteva fare. Invece nel silenzio, lasciati insoddisfatti quelli che cercano solo un po’ di sollievo, decide di andare oltre.
Non è lui che salverà il mondo, non ciò che lui sa fare, nemmeno i prodigi che gli escono dalle mani. Sarà invece la parola che il Padre lo ha mandato a dire a salvare il mondo, perché questa parola leggera, che con tanta facilità cade a vuoto, ha la forza di far trionfare la vita sempre e comunque, anche dove la guarigione non può arrivare e il lieto fine non si dà. Questa parola fa suonare il silenzio e colora il buio. Deve andare altrove, così queste persone capiranno che non è il potere che lui ha che va cercato, ma la parola che lui lascia, l’unica che può portare davvero salvezza.
Come Gesù anche Paolo (nella seconda lettura) si dedica totalmente all’annuncio, rifiutando ogni vantaggio o riposo, pronto a farsi tutto a tutti pur di annunciare il Vangelo e salvare ad ogni costo qualcuno. “Tutto faccio per il Vangelo, per esserne partecipe anch’io”. Questo accade a chi, come Gesù, dopo tanta lotta contro il male comprende nel silenzio che ciò che porta infallibilmente la vita è proprio il Vangelo e così non si preoccupa più dei risultati raggiunti o di quanto bene si può misurare o vedere, ma passa oltre portando una parola che vuole arrivare ovunque, perché come il vento può infilarsi dentro ogni ferita, risanare ogni piaga, mettere in fuga ogni morte anche là dove nessuno se ne accorge. Così, mite e nascosto, Dio salva il mondo nello stesso modo in cui l’ha creato: parlando. Davvero grande è la sua potenza e la sua sapienza non si può calcolare.
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