Santissima Trinità (A)

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05 - Giu - 2020

La Santa Trinità - Rupnik

Santissima Trinità (A)

(Es 34,4-6.8-9   Dn 3,52-56   2Cor 13,11-13   Gv 3,16-18)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il mistero della Trinità è il più semplice che esista, è ciò che conosciamo tutti già prima di nascere, perché ciascuno di noi comincia ad essere nel grembo di un’altra persona. Veniamo al mondo condividendo la vita, cresciamo solo se qualcuno si china su di noi, viviamo solo nella misura in cui ci stringiamo gli uni agli altri in relazioni che decidono chi siamo. Il mistero della Trinità non dice niente altro che questo: Padre, Figlio e Spirito vivono un’unica vita perché sono intrecciati dalle relazioni d’amore che li costituiscono. Tutti sanno come funziona, se qualcuno non lo ricorda, basta guardare i più piccoli.

Le letture di questa domenica però provano a farci affondare nell’abisso di questa vita condivisa da Padre, Figlio e Spirito, nella quale essi vogliono coinvolgere anche noi. E così per contemplare la vita che i Tre vivono la Scrittura ci parla dell’amore che essi ci rivolgono che poi è ciò che sempre si scambiano.
Il libro dell’Esodo per dire il nome di Dio, cioè per renderne presente il mistero, usa tutti i termini dell’amore. Dio è anzitutto misericordioso e pietoso, cioè sente per noi i moti profondi che noi attribuiamo alla tenerezza e agli affetti più intensi e viscerali, prototipo dei quali è l’amore di una madre per i figli ancora piccoli. Poiché sente questi moti profondi di affetto Dio è lento all’ira, ovvero paziente, capace di non aggredire, ma di lasciare all’altro il tempo di crescere e scegliere il bene, mentre lui continuamente secondo il bisogno dell’amato (qui sta la sua fedeltà) lo ricolma di vita e di doni (ricco nell’amore).
La pienezza di questo amore, che sorge dall’intimità di Dio stesso (potremmo dire dal suo “grembo”) e si rivolge a noi per farci vivere, si è avuta in Gesù. Lui è (per andare alla seconda lettura che riporta la conclusione della seconda lettera ai Corinzi) la grazia per eccellenza, cioè ciò che Dio dona per dare vita e gioia. Solo perché, però, ci è dato lo Spirito del Padre (cioè siamo resi partecipi dell’amore che Dio vive, come i bambini che nascono vengono resi partecipi dell’amore e delle relazioni che ci sono in famiglia), siamo capaci di riconoscere in Gesù la pienezza della vita e il segno più evidente dell’amore che il Padre ha per noi (come i bimbi piccoli sanno riconoscere i propri fratelli dagli altri, perché sono partecipi della vita e dei sentimenti dei propri genitori).
Nelle parole e nei gesti di Gesù, nella sua morte e nella sua resurrezione, noi vediamo e tocchiamo l’amore del Padre: misericordioso, pietoso, lento all’ira, ricco di amore e di fedeltà. Possiamo così ripetere con l’evangelista Giovanni: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede non vada perduto, ma abbia la vita eterna. E la salvezza sta proprio nel riconoscere nella vita di Gesù il segno dell’amore del Padre, potendo così vivere accorgendoci che il Padre si intenerisce per noi, si china, attende, offre continuamente la vita secondo il nostro bisogno, fino a che potrà farci entrare nella pienezza  dell’amore.

Davvero quello della Trinità è un mistero semplice. Si tratta solo di amore. Se ci sfugge, basta chiedere a quelli che amano e vivono dell’amore, a cominciare dai più piccoli.

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