I Domenica Avvento (B)

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27 - Nov - 2020

Avvento

I Domenica d’Avvento (B)

(Is 63,16-17.19; 64,2-7   Sal 79   1Cor 1,3-9   Mc 13,33-37)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Vegliate! Per ben tre volte Gesù ripete in questi pochi versetti del Vangelo di Marco un imperativo stringente: vegliate! A questo aggiunge le raccomandazioni del caso: fate attenzione, non vi addormentate. Oramai a ridosso dell’inverno con le giornate scorciate dal buio e il freddo che si associa al virus per chiuderci in casa, quando più verrebbe da assopirsi e cedere alla malinconia, il tempo liturgico dell’Avvento irrompe gridandoci di vegliare. La seconda lettura (dalla prima lettera ai Corinzi) aggiunge ancora qualche dettaglio: ci parla di una pienezza di doni già ricevuti, di una testimonianza salda che dimora nella chiesa per cui non ci resta che attendere con fiducia la manifestazione del Signore per la quale lui stesso ci conserverà irreprensibili.

Mentre il buio (e con esso le fatiche della vita) sembra volerci indurre al sonno, il Signore ci ricorda così che dobbiamo vegliare perché il tempo che passa non va verso il nulla o verso il caso, ma tende all’incontro con lui e quindi diventa prezioso come sempre è preziosa l’attesa di chi si ama: non ci si può addormentare neanche volendo quando si attende colui che il nostro cuore desidera.
Siamo in attesa di un incontro, dunque, che costituisce però un nuovo inizio. L’anno liturgico che ricomincia infatti (proprio mentre quello solare volge al termine) diventa segno concreto di un ricominciamento inaspettato (della storia, della nostra vita, di tutto), per entrare nel quale leggiamo con calma la bellissima prima lettura  che cuce insieme due brani del libro del profeta Isaia.
Seguendo il testo vediamo che anzitutto ci si rivolge a Dio e allo stesso tempo si riconosce che il nostro cuore si è smarrito (perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie?) e indurito. Si deve ricominciare da qui, dalla verità di noi stessi, dal nostro errare e dalla nostra durezza. E poiché su questi sembriamo non avere alcun potere alziamo il grido della preghiera: ritorna Signore! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Ma proprio nell’invocazione che sorge dalla consapevolezza del nostro errare si aprono nuove comprensioni. Prima ritorna nitido nella nostra mente il ricordo delle opere di Dio (tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti) e poi ci accorgiamo del suo amore: mai si è visto né sentito che un dio diverso da Te abbia fatto tanto per chi confida in lui. A questo punto anche quella che ci sembrava la sua lontananza, quella condizione che ci faceva sentire soli, diventa qualcos’altro: Dio non ha smesso di amare, al contrario è adirato come un innamorato geloso. Non ci ha abbandonato: lo smarrimento che proviamo è segno della mancanza che lui prova, della gelosia che ha per noi.
“Ma, Signore, tu sei nostro padre, noi siamo argilla e tu sei colui che ci plasma”. Ecco, di fronte al nostro peccato (siamo come panno immondo, arriva a dire il profeta, foglie avvizzite portate via dal vento della nostra iniquità) e alla reazione sdegnata e sofferente di Dio per la nostra mancanza di amore (tu sei adirato…avevi nascosto il tuo volto), arriva la consapevolezza di ciò che ci aspetta: come Dio ci ha creato e più volte ci ha riplasmato dandoci vita e perdono, così farà ora. Il nuovo inizio che attendiamo, di cui il tempo di Avvento si fa segno, è il tempo in cui Dio rimette le mani su di noi per modellare la terra di cui siamo fatti, per riplasmarci come un’opera nuova e bellissima.
Come si può non attenderti, Signore? Vedremo cadere a terra le scorie che ci avevano sporcato e il fango che aveva deformato il nostro aspetto e ci riceveremo nuovi, unici, dal tuo amore che tutto ricrea e fa vivere. Nessun buio resisterà allo splendore del tuo volto e nessuna stanchezza sarà capace di farci addormentare. Vieni presto, allora, Signore, “mostraci la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.
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