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17 - Set - 2021

XXV Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XXV Domenica

Tempo Ordinario anno B

(Sap 2,12.17-20   Sal 53   Giac 3,16-4,3   Mc 9,30-37)
Domenica 19 Settembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Sia la prima che la seconda lettura (seppure non scelte in accordo fra di loro) mettono l’uno di fronte all’altro due stili, uno quello del giusto e uno quello di chi è animato dallo spirito di contesa, che fa sorgere ogni sorta di cattiva azione. Chi è abitato da gelosia e spirito di divisione infatti è dominato da un desiderio (meglio sarebbe dire un’avidità) insaziabile che lo spinge a uccidere e fare guerra senza fra l’altro che riesca mai a possedere nulla (così nella lettera di Giacomo). E questo è anche l’atteggiamento degli empi della prima lettura (tratta dal libro della Sapienza) che tendono insidie al giusto. Lui  rimprovera loro le inadempienze della legge e gli empi invece di convertirsi, dominati dallo spirito di contesa che spinge a fare guerra, cercano di colpirlo con violenze e tormenti. Addirittura lo sfidano là dove è radicato il suo cuore, perché lo tentano sull’amore di Dio. Infatti, mentre gli usano violenza, lo provocano: secondo le sue parole l’aiuto gli verrà, Dio verrà in suo aiuto! E dicono questo mettendolo a morte. Il giusto invece non ha bisogno di difendersi perché non è in guerra: se rimprovera quella che riconosce come una mancanza è perché tutti vivano, anzitutto colui che sbaglia. La sapienza che lo abita è mite e pacifica, non perché non resiste al male o non lo dichiara, ma perché non vuole fare male all’altro e cerca la relazione con lui; è una sapienza sincera, senza doppi fini, e si riconosce facilmente dai frutti buoni: ciò che nasce da questa sapienza nutre e dà sapore.

I discepoli, nel Vangelo di questa domenica, sono ancora incapaci di distinguere lo stile mite e arrendevole da quello pieno di avidità che cerca il potere (magari chiamando servizio). Infatti proprio mentre Gesù parla della sua Pasqua (un’altra volta dopo quella che abbiamo sentito domenica scorsa), loro discutono sui primi posti (dopo che Gesù aveva insegnato a rinnegare se stessi e prendere la propria croce). Sanno che la logica di Gesù è un’altra (tacciono vergognosi infatti quando lui chiede di che cosa stessero parlando lungo la strada), ma seguono comunque lo spirito di grandezza che li abita.

Gesù allora li (ci) istruisce con un gesto semplicissimo, antico quanto il mondo: abbraccia un bambino. Fa cioè ciò che fanno tutte le madri e ciò che ogni essere umano venuto al mondo ha conosciuto per prima cosa: l’essere tenuto in braccio per essere nutrito, riscaldato e amato. Per insegnare ai suoi la logica del Vangelo, Gesù compie il gesto delle madri. Da loro si può imparare perché il potere non venga mascherato dalla retorica del servizio, come accade di continuo. Lo stile delle madri (senza cadere però in un’altra retorica, perché anche le madri a volte spadroneggiano sui figli) deve essere quello di accogliere coloro che ci sono affidati, fare loro spazio, fare di tutto perché crescano e lasciarli liberi. Ogni volta che il potere o l’esercizio di una responsabilità schiaccia, toglie libertà e impedisce agli altri di vivere come adulti responsabili, non si sta seguendo la logica del Vangelo; ogni volta invece che si abbraccia per far crescere e lasciare liberi, sì.

Infine Gesù ricorda ai suoi che accogliere così i piccoli, dare loro la possibilità di crescere e vivere, spendersi perché altri possano essere uomini e donne pienamente realizzati, è qualcosa che viene rivolto direttamente a lui. Chi accoglie un piccolo, accoglie me, perché è proprio ai piccoli che il suo sguardo è rivolto e chiede a quelli e quelle cui affida responsabilità di prendersi cura proprio di loro. Come una madre Gesù abbraccia i piccoli e come una madre cerca altri e altre che, come lei, si sappiano spendere perché i suoi piccoli vivano adulti e in libertà. Chi vivrà così sarà, facendosi ultimo per lasciare spazio a chi deve far crescere, sarà il primo: proprio come Gesù, la cui morte prelude la resurrezione e per il quale l’aiuto di Dio non si è fatto attendere.

19 - Set - 2020

XXV Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XXV Domenica T.O. (A)

(Is 55,6-9   Sal 144   Fil 1,20-24.27   Mt 20,1-16)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna in momenti diversi (siamo arrivati al capitolo 20 del primo Vangelo) ci dice qualcosa su Dio, ma soprattutto su di noi e su che cosa è necessario per vivere secondo la logica del Regno, ovvero da fratelli e sorelle. Domenica scorsa la parabola del servo spietato ci mostrava un Dio che abbuona i debiti, contro il proprio interesse, e ci metteva in guardia contro il nostro senso di giustizia che, pure a ragione, pretende il debito degli altri. Sapere di essere sulla stessa barca di tutti, sapere di essere uno/a cui anzitutto è stato rimesso un debito enorme, ci può aiutare a porci di fronte all’altro/a in debito secondo la logica del Regno: abbuonando il debito stesso, come Dio fa con noi. Meglio guadagnare il fratello o la sorella, che i pochi spiccioli che ci deve o l’affermazione di una giustizia che poi non è mai così certa.

La parabola di questa domenica sembra proseguire sulla stessa linea: Dio non sa fare i conti, non sa guadagnare, non sa capitalizzare, né ottimizzare le spese. Non sembra un bravo imprenditore, oppure è il migliore, secondo altre regole da quelle che abbiamo imparato noi. A ciascuno che si mette al lavoro per lui (lavoro che, come ci descrive la lettera ai Filippesi, dovrebbe coincidere con il nostro stesso vivere totalmente teso a portare frutto per qualcuno) Dio dà un salario che permette di vivere. Non misura il tempo trascorso al suo servizio, non si preoccupa della quantità del lavoro svolto, si preoccupa che chi ha voluto lavorare nella sua vigna abbia la vita.
Questo perché (bellissima la prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia) le sue vie non sono le nostre vie e i suoi pensieri non sono i nostri. Noi facciamo classifiche che vogliamo scalare e cerchiamo il guadagno personale, come l’affermazione di noi stessi tramite le nostre prestazioni e le opere che lasciamo. Abbiamo bisogno di porci sopra gli altri e di saper guadagnare di più o fare le cose meglio o vivere meglio di loro e avere più successo. Tutto questo ci lascia in bocca il sapore della soddisfazione e crediamo che Dio ragioni così, o meglio: non è più importante ciò che Dio pensa perché ci siamo costruiti vita e salvezza con le nostre mani mentre gli altri, almeno alcuni, sono certamente meno meritevoli e questo ci rassicura sul nostro valore, costruito però sull’allontanamento e la differenza con l’altro.
Questa pagina di Vangelo, al contrario, ci insegna di nuovo la fraternità (e la sororità): Dio non vuole che nessuno si perda, vuole che tutti siano nella sua vigna (li cerca in continuazione, a tutte le ore, non gli importa se l’impresa vale il guadagno) e vuole che tutti finiscano la giornata con quello che serve per vivere. Vuole che tutti vivano. A noi è chiesto di assumere lo sguardo del Padre: riconoscere l’altro come uno che non va perduto, che va portato ad ogni costo al lavoro nella vigna perché non senta l’amarezza e la solitudine, che va gratificato con ciò che serve per vivere, perché sopra ad ogni giustizia, al di là di ogni logica contabile, non vogliamo perdere nessuno e vogliamo che tutti vivano.
Si può avere questo cuore, solo quando ci si accorge che Dio ha trattato noi con questa stessa generosità, che non abbiamo alcun vanto davanti a lui, che le opere che abbiamo fatto o le relazioni che abbiamo non sono frutto anzitutto del nostro impegno e delle nostre capacità, ma un dono, un lavoro nella vigna che ci è stato offerto quando nessuno ci aveva preso, come se fossimo noi gli ultimi a dover meritare una ricompensa. Così saremo i primi, cioè quelli che pensano con i pensieri di Dio e percorrono le sue vie, quelli che hanno il suo cuore la cui grandezza smisurata (come ci invita a riconoscere il salmo) si vede nella misericordia e nella pietà, nell’amore e nella tenerezza, che sono l’unica giustizia che lui conosca, l’unico capitale che valga la pena accumulare o contare.
21 - Set - 2019

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa

La parabola di oggi ritorna su un tema caro al Vangelo di Luca: le ricchezze. Il terzo evangelista descrive spesso la ricchezza come un pericolo, perché capace di ingannare il cuore dell’essere umano su ciò che è essenziale. Può succedere infatti che ci si illuda che possedere beni (o vivere in società avanzate) ci salvi dalla morte o dia pace all’esistenza. Un tale inganno è mortale perché non ci si accorge che per vivere occorre condividere, cioè impoverirsi perché chi non ha nulla abbia qualcosa, e per avere un’esistenza pacificata occorre riporre in Dio e nell’amore ogni speranza e ogni impegno.

Per aiutarci a comprendere questo il Vangelo ci presenta un personaggio scandaloso: un amministratore che sperpera gli averi del suo padrone. Non si dice che prendeva per se i soldi dell’altro, ma solo che non gli permetteva di accumulare, non facendo i suoi interessi. Chiaramente il padrone non può che cacciarlo, ma di fronte alla perdita del proprio lavoro l’amministratore reagisce come era abituato: sperpera ricchezza. Chiama infatti i debitori del suo padrone e abbassa loro il debito per farseli amici. Probabilmente nel fare così rinuncia alla propria parte di interesse sul debito – perché una parte spettava proprio all’amministratore – sperperando la propria ricchezza proprio in un momento di bisogno, ma così facendo si fa degli amici.
L’insegnamento di questa parabola viene condensato da Gesù stesso in poche parole, cioè “fatevi degli amici con la ricchezza disonesta”, che potremmo ridire così “fate in modo che le persone vi siano grate usando la ricchezza ingiusta”.
Ogni ricchezza, d’altra parte, è ingiusta, non tanto perché guadagnata con disonestà, ma perché se qualcuno è ricco vuol dire che altri sono poveri, mentre le risorse della terra sono state date a tutti gli uomini perché tutti vivano. Se alcuni sono ricchi e altri poveri è colpa dei nostri sistemi sociali ed economici che creano ingiustizia, sfruttano la guerra, distruggono l’ambiente e così minacciano la vita di tutti: ricchi e poveri, anche se solo i poveri sanno cogliere il pericolo. Non c’è dunque ricchezza giusta, perché giustizia vuole che tutti condividano i beni che sono destinati a tutti. Davvero riteniamo giusto che i nostri figli mangino mentre tanti bambini muoiono di fame, magari mentre i loro genitori lavorano 12 ore al giorno nelle miniere che estraggono il materiale per il nostro ennesimo cellulare?
Le risorse della terra sono per tutti, i confini che ci siamo dati sono solo funzionali ad organizzarci se non diventano la scusa per arraffare ciò che erroneamente pensiamo sia nostro. Di chi è la foresta amazzonica? Se è dei paesi sud americani allora possono distruggerla e facilmente moriremo tutti. Oppure è di tutti e allora tutti dobbiamo condividere risorse per custodirla, facendo giustizia (per esempio) alle popolazioni che affamiamo con un commercio iniquo oppure piantando noi moltissimi alberi che compensino la deforestazione che in altre epoche abbiamo portato avanti per arricchirci.
Se però la ricchezza è sempre ingiusta, c’è un modo saggio di usarla e questo modo consiste nel considerarla qualcosa di poco conto, qualcosa che si può manipolare, trafficare, perdere, per alleggerire i debiti altrui e creare relazioni di amicizia. Non è qualcosa cui servire e cui affidarsi (non un altro dio come ci ammonisce la fine del Vangelo) ma qualcosa da usare per far vivere tutti, desiderando per sé, come ci suggerisce la prima lettera a Timoteo, solo una vita tranquilla, che ci permetta di dedicarci a Dio e di testimoniarlo.Che Dio ci doni una vita saggia, priva dell’illusione che ci si salvi arricchendosi o difendendo dai poveri la propria ricchezza, convinti di servire Dio solo con il culto ma pronti ad approfittarsi di chi è nel bisogno (come bene denuncia il profeta Amos). Molto più saggio è trafficare con i propri averi (e quelli di tutti) perché ogni creatura (noi compresi) abbia di che vivere.