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15 - Feb - 2023

Quaresima 2023

Quaresima 2023

18 - Mar - 2022

III Domenica di Quaresima anno C

Quaresima

III Domenica di Quaresima

Anno C

(Es 3,1-8.13-15   Sal 102   1Cor 10,1-6.10-12   Lc 13,1-9)
Domenica 20 Marzo 2022

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il tono minaccioso della prima parte del discorso di Gesù, sulla morte improvvisa dei Galilei uccisi da Pilato e degli uomini rimasti sotto la torre crollata, viene subito attenuato dalla parabola successiva che costringe a non pensare a Dio come quello che ci aspetta al varco per coglierci in fallo, ma al contrario come colui che si prende cura con pazienza anche della nostra incapacità di portare frutti. Lui non perde le speranze, rinnova le occasioni, moltiplica le attenzioni. Non è facile per nessun agricoltore eradicare un albero che ha visto crescere e per il quale ha impiegato risorse e lavoro: tanto più per Dio ogni vita è preziosa.

Questo ci permette di rileggere anche il primo insegnamento di Gesù non come una minaccia, ma come un ammonimento, come un’esortazione a cogliere ogni occasione per dare frutto, perché non sappiamo quanto tempo abbiamo né quante occasioni abbiamo. Come un albero buono, dobbiamo succhiare ogni nutrimento dalla terra e stendere i rami verso il cielo per offrire i frutti che ci sono propri, ogni giorno, ogni momento, perché non sappiamo in nessun modo quanto durerà e non è nemmeno questo quello che conta, l’importante è convertirsi, volgersi al bene perché i nostri frutti nutrano quanti più possibile.

La seconda lettura (prima lettera ai Corinzi) ci ricorda poi che non basta aver ascoltato la parola, essersi dissetati e nutriti dei sacramenti e della familiarità con Dio, perché senza stare attenti a se stessi, senza custodire l’autenticità del cuore in ascolto della Parola e della realtà, si possono mandare distrutti tutti i doni e perdersi. Occorre fare attenzione a sé, ascoltare con autenticità, lasciare che i sacramenti ci trasformino realmente la vita e le azioni, nel desiderio continuo di impiegare ogni giorno e ogni momento per offrire frutti buoni. D’altra parte solo un albero curato fruttifica, similmente solo una persona che custodisce se stessa sulla via di Dio può compiere di conversione. E Dio stesso lavora al nostro albero perché abbia ogni cura possibile.

Infatti la conversione e il portare frutto, per quanto richiedano la nostra decisione e l’impegno della nostra libertà, non accadono per uno sforzo volontaristico che ci imponiamo, ma per la vicinanza di Dio che ci dona tutto ciò che serve (anzitutto lui stesso). La prima lettura ci fa vedere questa dinamica seguendo il racconto della chiamata di Mosè al roveto ardente. Mosè viene chiamato in un luogo sacro, incuriosito da ciò che sembra un prodigio, ma solo per ascoltare (così come Dio aveva ascoltato) il grido del popolo che Dio gli racconta. Già questo ci dice che non esiste esperienza “sacra” che non sia un concreto frutto di carità per altri, l’ascolto del loro grido, l’impegno per alleggerire le loro fatiche. A questo Dio aggiunge il nome con il quale vuole essere conosciuto e che invece di “Io sono colui che sono” andrebbe tradotto “Io sono colui che ci sarà”. Dio, cioè, si fa conoscere come colui che si impegna nella vicinanza, nell’amicizia, nella cura. Convertirsi e portare frutto dipendono dall’accorgerci di questa vicinanza, dal lasciarsi consolare da questa amicizia, per vivere prendendosi cura di quelli di cui il Dio che sta con noi ci fa sentire il grido.

La vita è la nostra occasione. Ogni momento lo è. Per ascoltare il grido dei fratelli e delle sorelle, per ascoltare ciò che Dio dice e godere la sua amicizia. Convertiamoci allora, viviamo così, perché – ringraziando Dio! – il regno di Dio è vicino.

02 - Mar - 2022

Il Padre tuo ti Ri-Accenderà!

Quaresima 2022Ti aspettiamo Domenica 6 marzo alle ore 16.00 al centro parrocchiale Shalom per introdurci insieme nel cammino quaresimale.

Non mancare!

19 - Mar - 2021

V Domenica di Quaresima (B)

Quaresima

V Domenica di Quaresima (B)

(Ger 31,31-34   Sal 50   Eb 5,7-9   Gv 12,20-33)
Domenica 21 Marzo 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Per tutte le domeniche di quaresima la prima lettura si è concentrata sull’alleanza e sui diversi patti in cui questa alleanza è stata offerta da Dio al suo popolo (con Noè e Abramo, nel decalogo durante l’esodo e nel ritorno dall’esilio). Ora arriviamo, nelle parole di Geremia, alla promessa dell’alleanza nuova, quella che non verrà trasgredita perché scritta nei cuori. Arriverà un momento cioè in cui il popolo (ciascuno e ciascuna di noi) sarà capace di rispondere all’amore di Dio: non saremo solo amati e scelti, ma sapremo, riempiti da questo amore, amare e scegliere.

Tutto questo comincia nella vicenda di Gesù, che ci mostra come la risposta all’amore del Padre non avviene per magia o istantaneamente, ma chiede un apprendimento. Leggiamo infatti in questi pochi versetti della lettera agli Ebrei che anche Gesù “imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. L’obbedienza, poi, altro non è che vivere credendo e rispondendo all’amore del Padre e non può essere imparata che nelle vicende della vita che non sono facili per nessuno, ma ci conducono – persino nella sofferenza – ad essere sempre più capaci di amare, perché in esse possiamo crescere nella consapevolezza di essere amati da Dio.

Così, dentro questo cammino limpido e faticoso, Gesù arriva al giorno in cui comprende (forse perché i Greci sono curiosi di vederlo – come gli riferiscono i discepoli – e quindi lui comprende che la sua missione è compiuta visto che anche le genti vengono a Dio) di dover morire (il Vangelo è tratto dal dodicesimo capitolo di Giovanni, a ridosso della Pasqua): la sua anima è turbata, ma comprende anche che l’odio di chi lo ucciderà viene dal fatto che lui risponde all’amore del Padre e quindi non può farci nulla. Non può, infatti, smettere di amare il Padre (e quindi di essere come è) solo per salvarsi. Gesù però ha anche una speranza: che proprio il suo ostinato rispondere all’amore del Padre trasformerà la sua morte in vita. Il Padre farà questo: nel momento più buio, quando esseri umani cedono alle tenebre, Dio farà luce e caccerà via il principe di questo mondo, mettendo davanti agli occhi di tutti il Figlio innalzato, perché tutti guardino che lasciarsi amare dal Padre e rispondere al suo amore conduce alla vita. Non conosce morte (cioè riceve la vita eterna) chi vive questo amore.
Ed è proprio sulla vita che Gesù si concentra, non sulla morte: il chicco di grano muore solo per rinascere di una vita moltiplicata. La morte non è solo un passaggio, ma è persino apparente perché molto più vitale è la spiga del chicco. Si pensa che sia una morte se si vuole conservare il chicco, ma se invece più importante del chicco è la vita, allora si comprende come il chicco non muore se non alla sterilità e solitudine, aprendosi invece alla moltitudine dei frutti. Così il Signore ci insegna che ciascuno e ciascuna può smettere di difendere se stesso e la propria vita solo là dove perdersi significa moltiplicare la vita, solo là dove ciò che lasciamo morire è solo un chicco dal quale vediamo spuntare una spiga intera. Se si vuole conservare il chicco (“chi ama la propria vita” va inteso così) si temerà la morte (“la perde”) e non si vedrà la vita, ma se si sceglie la vita, potremo lasciare che il chicco muoia (“chi odia la propria vita” va inteso così) e vedremo che Dio è capace di moltiplicare i frutti oltre ogni aspettativa (“avrà la vita eterna”).
La buona notizia, il Vangelo, è che immersi nell’amore del Padre non dobbiamo temere nemmeno la morte, possiamo quindi, liberi e umili, rispondere al suo amore e di fronte ad ogni ostacolo che ci farà venire la tentazione di proteggere il nostro chicco smettendo di amare, risponderemo con Gesù: sono angosciato, ma che devo fare? Smettere di amare proprio no, quindi Padre glorifica il tuo nome, fa vedere a tutti cioè di quale e quanta vita sei capace.
12 - Mar - 2021

IV Domenica di Quaresima (B)

Quaresima

IV Domenica di Quaresima (B)

(2Cr 36,14-16.19-23   Sal 136   Ef 2,4-10   Gv 3,14-21)
Domenica 14 Marzo 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il tempo quaresimale in questa domenica lascia intravvedere la luce della Pasqua, come una nebbia che perde spessore e lascia che i raggi del sole restituiscano i contorni alle cose. La meditazione quaresimale che ci ha condotto nel deserto, sul monte e poi al tempio, per vedere se portavamo nel cuore il desiderio di volgerci a Dio, nutrendoci di lui, ascoltandolo e rifiutando ogni logica di mercato, ora ci mette davanti alla salvezza che celebreremo nella Pasqua, ma mentre lo fa ci consegna anche un monito: se si amano le proprie opere malvagie (cioè tutto ciò che non viene dall’amore sano di sé e del prossimo) rifiuteremo la salvezza che ci viene donata. Viene la luce (così Gesù parlando con Nicodemo) ma le tenebre non l’hanno accolta. La quaresima sosta per dirci che il tempo si è fatto breve: siamo riusciti a smettere di essere affezionati a ciò che non viene da Dio? Perché se continueremo ad amare le “opere malvagie” respingeremo il dono.

Mentre tentenniamo sulla soglia della luce, timorosi di lasciare le nostre tenebre, che ci sono in fondo così care, mentre la nebbia si dirada e noi siamo tentati di ritornare nel grigio dove nessuno (nemmeno noi) può vedere bene che cosa facciamo e perché, Dio ci parla della vita che vuole costruire con noi. Magari siamo finiti in esilio (come il popolo di Israele nella prima lettura), imprigionati dalla nostra storia e dalle nostre storture, ma Dio trova sempre il modo (persino tramite uno dei tanti tiranni che si avvicendano ai vertici del potere) per farci tornare in patria (cioè nell’intimità con lui) e per ricostruire il suo tempio (cioè il nostro cuore in cui lui abita). La lettera agli Efesini ci parla di questo ritorno in altri termini: Dio da morti che eravamo ci ha fatto rivivere con Cristo, ci ha riportati in vita dalla morte per dono, per amore, e messi in cammino in una strada che Dio stesso dissemina di opere buone perché noi le possiamo compiere e così seguire la luce, abbandonando nelle tenebre le opere malvagie.
A questo punto non ci resta che scegliere di coltivare il desiderio di vivere e di essere nella luce, perché il dono già è stato fatto e non abbiamo che da prenderlo: Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo, perché chiunque crede abbia la vita e venga salvato dall’attrazione che la morte esercita su di noi.
La luce entra nella nebbia, abbiamo ancora tempo per lasciarci affascinare dalla bellezza di Cristo e del suo amore, per decidere che non ci interessa più quello che ci porta nelle tenebre e che possiamo farne a meno. Abbiamo un tempo favorevole e poi davanti a noi, vicina e bellissima, già albeggia la Pasqua.
04 - Apr - 2020

Alcuni canti nella preparazione alla Pasqua

Dalla selezione liturgica della cappella in Santa Marta

Signore Ascolta Padre Perdona

Attende Domine et Miserere

  Ave regina caelorum

Settimana Santa

Stabat Mater Dolorosa – M.Frisina

Pasqua

Exultet – p.Maurizio Verde OFM

 Canto del Mare – M.Frisina

Alleluia, Io sono il pane vivo – M.Frisina

27 - Mar - 2020

V Domenica di Quaresima (A)

Quaresima

V Domenica di Quaresima (A)

(Ez 37,12-14   Sal 129   Rm 8,8-11   Gv 11,1-45)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il cammino quaresimale ci ha condotto in molti luoghi: il deserto, nel quale scegliere chi servire quando tutto il resto viene tolto; il monte della trasfigurazione, rifugio di un momento per cogliere la gloria che risplende nella vita e nella persona di Gesù; il pozzo, dove scoprire che Gesù ha sete insieme a noi e ci addita un’acqua capace di dissetarci là dove l’arsura della vita non ci dà tregua; gli occhi aperti di un cieco nato, per entrare in una luce capace di farci vedere ciò che altrimenti resta nel buio.

Ora Gesù, turbato e piangente, ci porta davanti al sepolcro del suo amico, di colui che amava molto e che è morto, senza che lui affrettasse il viaggio per raggiungerlo e senza aver fatto nulla per guarirlo a distanza come altre volte aveva fatto. In questo brano Giovanni riprende molti spunti seminati nel suo Vangelo e in particolare nel racconto del cieco nato, letto domenica scorsa, ma soprattutto – questo è l’ultimo segno di Gesù per Giovanni – allude e prepara il segno per eccellenza posto da Gesù: la sua morte e la sua resurrezione. Gesù dice di sé di essere la resurrezione e la vita, promette così a tutti la rinascita: infatti la resurrezione rivela che la vita non può essere distrutta, perché Dio la rigenera continuamente. Dio apre continuamente i nostri sepolcri (come racconta la bellissima lettura tratta da Ezechiele) per la potenza dello Spirito che abita in noi (così Paolo ai Romani) e che dà vita ai nostri corpi mortali: nel battesimo, rigenerandoci come figli di Dio, ma anche in ogni morte o lutto che dobbiamo attraversare, compresa la nostra morte e compresa questa pandemia. Dio rinnova infallibilmente la vita.

Resta vero quanto visto domenica scorsa e ora ripetuto da Gesù a Marta: se credi, vedrai. La fede ci permette di cogliere la vita che trionfa e si rinnova continuamente distruggendo ogni morte, altrimenti lo sguardo si vela e gli occhi si chiudono per non vedere ciò che nessuno di noi può sopportare. I credenti devono essere di fianco agli altri, come chi ha la vista più acuta sta di fianco a chi guarda a terra con attenzione per non cadere: loro ci dicono dove mettere i piedi, noi aguzziamo lo sguardo perché loro sappiano dove stiamo andando.
La fede però non toglie la fatica né il dolore né il pianto: Gesù stesso di fronte al suo amico è turbato, sofferente e piange. La potenza di vita di Dio è reale, ma arriva dopo un travaglio altrettanto reale. La prova è dura, ma, come già aveva detto per il cieco puntualizzando che questi non era così per la punizione di una colpa, Gesù ci svela che “questa malattia non è per la morte” ma per la gloria di Dio, perché tramite essa il Figlio venga riconosciuto. Certo Gesù parlava della malattia di Lazzaro e della propria manifestazione nel segno che stava per compiere risuscitando il suo amico, ma per noi oggi, forse, potrebbe indicare che anche questa pandemia non è per la morte, ma perché scopriamo come vera, importante, significativa, la logica del Vangelo: essere una sola famiglia umana, scoprirsi fratelli e sorelle di tutti, fermare le guerre, farsi prossimi, condividere, prendersi cura, costruire un mondo più giusto, promuovere uno sviluppo che non distrugga, essere disposti a dare noi stessi perché altri vivano certi che Dio non ci abbandona alla morte.
Non è facile avere questi occhi. Marta era pronta e Gesù la guida ad un cammino di fede, che la vede fare la più solenne proclamazione di fede dell’intero quarto Vangelo: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Maria non ce la faceva, soffriva troppo, riesce solo a piangere. E Gesù, con lei, piange: si fa compagno anche di chi non ce la fa ad alzare lo sguardo. Poi si porta addolorato davanti alla tomba dell’amico: non ha fermato la malattia e posticipato la morte alla vecchiaia (non è questa la sete ultima da placare), ma guarda a questo dolore come un’occasione per sperimentare e mostrare l’amore vivificante del Padre.
“So che tu mi ascolti sempre…”. Forse Gesù sta di fronte all’amico morto, ascoltando il proprio dolore, per assaporare che non è possibile lasciare nella morte quelli che amiamo. Ciascuno di noi lo sperimenta: ci è insopportabile la morte di chi amiamo. Gesù vuole sentirlo, vuole saperlo, perché lui sta per morire e ha bisogno di sapere, forse, che il Padre non sopporterà di lasciarlo nel sepolcro e così lo farà rivivere. Farà della sua morte un modo per mostrare la sua potenza di vita, trasformando il male fatto dagli uomini in un bene incommensurabile. “So che tu mi ascolti sempre” e col cuore consolato chiama il suo amico fuori dal sepolcro. La morte ha i giorni contati.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

21 - Mar - 2020

IV Domenica di Quaresima (A)

Quaresima

IV Domenica di Quaresima (A)

(1Sam 16,1.4.6-7.10-13   Sal 22   Ef 5,8-14   Gv 9,1-41)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

L’anno A propone durante la quaresima le grandi catechesi battesimali del Vangelo di Giovanni, perché la quaresima è il tempo in cui i catecumeni si preparavano (e si preparano) a rinascere nel battesimo, celebrato a Pasqua. In questo momento, in cui non possiamo celebrare, la chiesa intera torna ad essere catecumena, ovvero celebra la liturgia della Parola, prega e poi si ferma, impossibilitata a celebrare il rito eucaristico (i catecumeni non possono assistere all’eucaristia né parteciparvi, quindi escono prima della liturgia eucaristica). Prendiamo allora questo tempo come un’occasione: riscopriamo il nostro battesimo, la nostra appartenenza a Dio, lasciamo che la sua Parola ci guidi e ci trasformi. Lasciamoci aprire gli occhi sul mondo, sulla chiesa e su di noi.

Questa domenica, infatti, abbiamo di fronte la vicenda del cieco nato cui Gesù apre gli occhi con un gesto che ricorda quello della creazione: impasta la terra con la propria saliva e poi la mette sugli occhi del cieco, che deve andare a lavarsi (deve fare anche lui qualcosa dunque) e poi cercare di capire (proprio grazie a coloro che lo interrogano per gettare discredito su Gesù, su quanto accaduto e anche su di lui) che cosa gli è successo e arrivare alla fine del suo cammino a professare la sua fede: “Credo Signore!”.
Il nostro battesimo (la nostra fede) ha le stesse caratteristiche di questa illuminazione: ci accade come un dono, chiede domande, viene messa alla prova, stravolge la vita, ci rende autonomi (niente più elemosina per il cieco) e adulti (risponde da solo non tramite i genitori) per condurci finalmente a vedere e quindi a riconoscere Gesù come Signore.
Nella lettera agli Efesini ci viene indicato chiaramente il passaggio fatto: eravamo tenebra e ora siamo figli della luce. Essere figli della luce, però, porta con sé la necessità di compiere opere degne dei figli della luce e non c’è niente di peggio, sembrerebbe, che dire di vederci mentre si è ciechi, perché non si è disposti a farsi aiutare né a farsi aprire gli occhi e così si brancola nel buio sbattendo ovunque. Allora si finisce per non riconoscere le meraviglie di Dio e nemmeno colui che le compie (come accade ai farisei) e questo, magari, proprio mentre si pensa di servire di Dio, cioè di essere nella luce. Nessuno è al sicuro da questa erronea convinzione di vedere, perché spesso ci si ferma alla superficie, a ciò che ci fa comodo vedere, perché ci aggrada di più o ci inquieta di meno.
Il Signore però ci apre gli occhi in un modo tale da guardare più a fondo, da non fermarci all’apparenza (come rischia di fare Samuele quando è mandato ai figli di Iesse per ungere il nuovo re), ma da andare al cuore, come Dio, delle persone e delle situazioni, guardarle fino in fondo e cogliere alla luce di lui ciò che altrimenti non si vede. Per esempio, guardando il cieco nato o ogni male e sofferenza che colpisce gli uomini potremmo domandarci: chi ha commesso un male perché capiti questo? “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.  Invece la fede investe il male di una nuova luce: “né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Il male, la sofferenza, anche la morte, agli occhi dei credenti esposti alla luce dell’amore di Dio diventano il luogo in cui Dio opera meraviglie, salva, rinnova, fa risorgere. Dio non vuole il male, né lo manda, né lo permette: lo combatte, piuttosto, e lo vince.
Nessuno si accorge della bellezza del mondo come uno che vede per la prima volta dopo anni di cecità. La fede ci dona la stessa possibilità: spalancare gli occhi su ciò che siamo, sul mondo così com’è, e contemplare la bellezza vivificante di Dio che caccia le tenebre creando continuamente la vita in noi e intorno a noi, sempre e comunque: epidemie e morte compresa. Solo sotto questa luce la morte in croce di Gesù si trasforma nell’esultanza della resurrezione.
Nella quaresima di quest’anno, in cui veniamo privati della vita ordinaria, delle relazioni, della sicurezza economica, della comunità ecclesiale e della celebrazione eucaristica, in cui tanti perdono le persone che amano, in questa quaresima in cui sentiamo la minaccia per la salute e per il lavoro, abbiamo l’occasione – se lasciamo che il Signore Gesù ci apra gli occhi – di vedere le opere di Dio, di scorgere lui nello scorrere del tempo, di andare al cuore di noi stessi e di tutto ciò che facciamo e scegliamo, per portare tutto alla luce e, finalmente, portare frutto in ogni bontà, giustizia e verità.

Siamo in una valle oscura (come la vita appare fin troppo spesso), ma non temiamo alcun male e non manchiamo di nulla, perché il Signore è con noi. La fede ci apre gli occhi e così ci fa sperare e rallegrare di fronte ad ogni avversità e se qualcuno ci dovesse chiedere perché speriamo in un uomo vissuto duemila anni fa e di fronte ad una chiesa a volte così affaticata e deludente (come noi siamo), dovremo solo rispondere: una cosa sola io so, prima ero cieco, ora ci vedo. Vedo che Dio apre gli occhi ai ciechi, preludio della vittoria pasquale sulla morte.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

13 - Mar - 2020

III Domenica di Quaresima (A)

Quaresima

III Domenica di Quaresima (A)

(Es 17,3-7   Sal 94   Rm 5,1-2.5-8   Gv 4,5-42)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Non potendo celebrare l’eucaristia, forse in questa domenica possiamo fare esperienza di quanto la Parola di Dio ci possa nutrire: in famiglia, nelle comunità religiose o soli (se non si vive con nessuno): possiamo leggere ad alta voce questa parola di oggi, lasciare spazio al silenzio, alla meditazione e poi alla preghiera che segue sempre l’ascolto, magari cantare.

Le letture previste per questa domenica sono ricchissime: il tema dell’acqua (che nella seconda lettura è si ritrova nello Spirito, spesso simboleggiato dall’acqua) le attraversa, inoltre già il brano evangelico chiederebbe da solo mille puntualizzazioni diverse. Credo però sia inevitabile che queste letture suonino forte nel silenzio di questi giorni surreali e spaventati, in cui il mondo intero e il nostro paese in particolare appaiono minacciati da ciò che ha rivelato in un battibaleno tutta la fragilità della nostra vita e dei nostri sistemi sociali ed economici. Ascoltiamo questa parola a partire da qui allora.
La lettera ai Romani, bellissima, ci dichiara una speranza che non delude, perché già facciamo esperienza dell’amore di Dio che fa vivere, dello Spirito cioè che è stato riversato nei nostri cuori (come l’acqua che ricolma un recipiente). Non dobbiamo guadagnarci questo amore, c’è sempre stato, anche quando eravamo (e siamo!) peccatori, anche quando non conoscevamo (o quando non ci interessiamo) a questo amore. La fede, dice l’apostolo, ci fa stare saldi nella speranza della gloria di Dio. Eppure, forse, in questi giorni non ci sentiamo troppo saldi, somigliamo più ad Israele, così come ce lo racconta il libro dell’Esodo: abbiamo fatto le nostre fatiche, ci siamo messi sulla strada della vita e della fede e, alla fine dei conti, ci troviamo davanti ad un deserto senz’acqua. Ci lamentiamo e mettiamo alla prova Dio (lo tentiamo): sei in mezzo a noi, sì o no? Questo che stiamo affrontando, l’ennesima prova nel cammino, e stavolta così dura e minacciosa per tutti, è qualcosa che ci fa sentire Dio lontano? Dove è il suo amore e le sue opere?
Facilmente succede che oscilliamo fra la speranza che Dio sempre ci dona e questa mormorazione contro di lui, davanti alla quale però lui non sfugge, ma si ferma, come Gesù al pozzo. Siamo al pozzo anche noi, sotto la calura, cerchiamo un po’ d’acqua, come la donna samaritana che Giovanni mette di fronte a Gesù in questa pagina celeberrima. E con questa sete, con questa paura, con questo silenzio, sentiamo Gesù chiedere a noi: dammi da bere.
Non è il Dio che vuole preghiere e sacrifici per prendersi cura di noi, tutto ciò che esiste è spinto dal suo amore per condurre tutti alla pienezza della vita, non ha bisogno di essere convinto a fare il nostro bene: se preghiamo, preghiamo per ascoltarlo, per mettere davanti a lui il nostro cuore e per stringerci agli altri, non certo perché altrimenti lui non si cura di noi. Questo Signore non è il capriccioso dominatore degli eventi da tenere buono, è quello che ha sete insieme a noi: dammi da bere, così Gesù alla donna. Viene da scoraggiarsi: tu chiedi da bere a me? Sembra una presa in giro: abbiamo tutto questo bisogno e Dio chiede a noi?
Ma se noi conoscessimo il dono di lui e chi è che ci chiede da bere, avremmo già chiesto. Avremmo chiesto lo Spirito riversato nei cuori per sperare, per sostenere i nostri cari, per crescere nella responsabilità, per lavorare, per inventarci mille strategie per alleggerire chi fatica, ognuno a suo modo, per fronteggiare la sofferenza. Avremmo chiesto lo Spirito che già muove i medici e i sanitari generosi e impagabili, che asciuga le lacrime e sostiene il dolore di chi è nel lutto, che promette resurrezione a chi la perde la vita e che spinge i cuori di molti a pensare come fare del bene, come unirci, come amarci, come far vivere tutti. Avremmo chiesto anche noi questa acqua e con questa acqua avremmo dissetato Gesù presente in quelli che amiamo e in quelli che hanno paura o soffrono e che non possiamo toccare, forse, ma raggiungere sì.
Ma noi non rispondiamo così. Noi facciamo questioni: chi sei tu? Perché un Dio che ci vuole liberi e adulti, coinvolti, generosi, protagonisti, è molto scomodo. Meglio il Dio tappabuchi che ci può lasciare nella nostra irresponsabilità, che non ci chiede di domandarci come vivere al meglio queste tenebre e come migliorare il mondo dopo, come combattere con la stessa forza con cui proviamo a contrastare questa malattia ogni ingiustizia e ogni male. Ma Gesù ha pazienza e vuole insegnarci, come alla donna, a non porre attenzione solo alla sete di questo momento, ma a quella arsura profonda che tormenta il nostro cuore e di cui troppo spesso non ci accorgiamo. Esiste un’acqua che fa passare ogni sete.
Allora dammi quest’acqua: dice la donna (e noi con lei). Ma per averla bisogna andare a fondo, voler mettere la vita intera davanti a Dio (va a chiamare tuo marito! Non ho marito…), perché quest’acqua è Dio presente nel cuore, riversato in noi. E qui poco vale questionare di massimi sistemi, verità morali, questioni sociali o altro: è venuto il momento, faccia a faccia con Dio in questa quaresima così dura (le spighe già biondeggiano: è ora di raccogliere i frutti), per cominciare ad adorare Dio in Spirito e verità, non nelle parole e nei gesti rituali e nemmeno nella correttezza formale o morale, ma con una vita mossa solo dall’amore di lui, con un cuore riempito dallo Spirito e così capace di testimoniare che questo uomo mite che chiede da bere è il messia, una vita capace di far vedere a tutti che Dio è presente e che non c’è bisogno di metterlo alla prova.
Nostro cibo, come per Gesù, deve essere fare la volontà del Padre. Abbiamo tempo e silenzio in questi giorni: domandiamoci come cambiare noi stessi, la chiesa, la società e il mondo perché la volontà di Dio accada e tutti possano vivere. Siamo in quaresima, in questa quaresima così dura, magari è il tempo favorevole per convertici davvero. Il Signore è in mezzo a noi: l’acqua non mancherà.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

06 - Mar - 2020

II Domenica di Quaresima (A)

Quaresima

II Domenica di Quaresima (A)

(Gen 12,1-4   Sal 32   2Tm 1,8-10   Mt 17,1-9)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La prima domenica di quaresima abbiamo notato il contrasto fra i mitici “progenitori” che divorano anche ciò che non avrebbero dovuto, incapaci di rispettare il proprio limite, e Gesù che sceglie di non mangiare, di non appropriarsi del potere di convincere nessuno né di governare su qualcuno. Gesù accoglie il proprio limite per ricevere la vita, ogni cosa e persino se stesso dal Padre e così vivere di questa relazione.

Nella prima lettura di questa domenica incontriamo Abram, nel momento in cui Dio lo invita a lasciare la sua terra, i suoi parenti e la casa di suo padre. Prima di questo momento Abram ha visto morire il padre e prima di lui il proprio fratello, inoltre Abram non ha figli e sua moglie è sterile. In poche parole la famiglia di Abram è segnata dalla morte. Quando però non si conosce un’altra logica, si può rimanere attaccati anche alla morte. In fondo questa è la mia terra, le mie relazioni, la mia storia. Meglio la morte – sembriamo spesso ragionare così – che perdere ciò che ci dà sicurezza, ciò su cui abbiamo investito e per cui abbiamo sofferto, ciò che è nostro. Si tratta di un altro modo di divorare – come quello di Adamo ed Eva – perché non si riesce ad accettare il proprio limite e il proprio fallimento per aprirsi a rinnovate possibilità di vita, preferendo accanirsi su ciò che porta solo morte ma che ormai abbiamo addentato. Dio, però, provoca Abramo e, con lui, provoca ciascuno di noi: lascia ciò che fino ad ora non ha portato vita e vai altrove perché Dio prepara per te una benedizione che ricadrà su molti.
Anche nel Vangelo si parla di un viaggio, breve e meno impegnativo, ma comunque decisivo. Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte. Nel deserto è andato solo, ora porta i suoi, porta noi con sé. Vuole che vediamo qualcosa, che scopriamo una bellezza capace di farci abbandonare ogni morte, da farci desiderare di restare lì per sempre (facciamo tre tende), come gli innamorati della prima ora stregati dall’essersi incontrati e reciprocamente scelti. E davanti ai nostri occhi, per un po’, dopo aver lasciato ai piedi del monte le nostre sofferenze e i nostri fallimenti, le malattie, i virus, le minacce di violenza e di ingiustizia, le catastrofi ambientali o qualsiasi altra morte, lontani da tutto questo per qualche momento, Gesù si mostra a noi brillante come il sole e vestito di luce: bellissimo e splendente proprio per l’amore del Padre che lo avvolge. La promessa di vita fatta ad Abramo si compie in lui, anzi in lui prende carne, tanto che la possiamo guardare, ascoltare, vedere realizzata e allo stesso tempo rilanciata, perché in lui tutti gli uomini e le donne sono salvati e chiamati ad una vocazione santa (per usare le parole della seconda lettera a Timoteo).
La luce che fa risplendere lui raggiunge anche noi proprio quando riconosciamo nella vita e nella parola di lui ciò che Dio ama e in cui si compiace. Così vivendo come lui e con lui scopriamo che “egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo”. Questa è la notizia buona e lieta che abitandoci ci avvolge come una nube luminosa che rischiara le tenebre intorno a noi.
Come il viso dei bambini ci rivela subito se sono felici, se hanno in mente qualcosa, se stanno male o se hanno paura, così il volto di Cristo rivela la bellezza dell’amore che c’è fra lui e il Padre, nel quale ciascuno di noi è invitato ad entrare. Infatti Gesù è stato dato a noi (ascoltatelo!), proprio perché potessimo entrare in questo amore illimitato che ci fa luminosi, capaci di abbandonare la morte o il peccato, per aspettare dal Padre ogni benedizione e sperare persino nella resurrezione.
Col salmista invochiamo allora l’amore del Signore perché ci avvolga come una nube, facendoci vivere come figli suoi, amati, custoditi e in cammino verso una vita tale da non potersi nemmeno immaginare.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani