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30 - Ott - 2020

Solennità di tutti i Santi

Santi

Solennità di tutti i Santi

(Ap 7,2-4.9-14   Sal 23   1Gv 3,1-3   Mt 5,1-12)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

In questa solennità che sostituisce la XXXI domenica del tempo ordinario, la chiesa celebra l’opera di Dio: quella già perfettamente compiuta nella schiera smisurata dei santi e delle sante e quella ancora in atto in ciascun essere umano che vive su questa terra. Il brano dell’Apocalisse riportato nella prima lettura, infatti, si chiude con un grande canto di lode intonato dagli angeli davanti al trono dell’Agnello, un grande canto di lode per i 144000 (12x12x1000: questo numero così composto indicava una grande quantità di salvati provenienti da Israele) e per la moltitudine immensa di quelli che, pur avendo dovuto attraversare la grande tribolazione (la vita cioè con tutto quello che comporta), erano stati salvati. Viene, cioè, lodata l’opera meravigliosa di Dio, che si realizza e si mostra in modo del tutto singolare in coloro che, riempiti dal suo amore, si lasciano condurre alla pienezza della vita. Dio non viene quindi lodato in se stesso per le sue qualità o perfezioni, ma per quelli che lui conduce alla vita e alla santità.

Sembra impossibile che Dio compia tutto questo in noi e viene da chiedersi col salmista: chi potrà salire al monte del Signore? Chi starà nel suo luogo santo? Nessuno: dovremmo rispondere. Perché nessuno ha mani pure e tutti abbiamo idoli. Il brano della prima lettera di Giovanni (seconda lettura) ci rassicura però: se è vero che ancora non vediamo la vita che ci attende, sappiamo però di essere figli di Dio, riempiti del suo amore. Non gustiamo ancora quello che siamo, ma sappiamo di esserlo e quindi possiamo vivere nell’attesa di un dono certo e prepararci: come i bambini la sera di Natale, come i fidanzati alla vigilia delle nozze, come una donna che entra in sala parto. Giovanni ci dice infatti che vivere nella speranza di questo dono ci purifica, ci prepara cioè al dono stesso, perché la speranza della vita ci fa allontanare da ogni morte e ci fa cercare, giorno dopo giorno, le tracce di quello che ci è stato promesso.
Questa vita segnata dalla speranza viene descritta nel Vangelo di oggi tramite la straordinaria pagina delle beatitudini, infatti chi (anche in profondità nascoste e inespresse) sa di essere figlio di Dio vive secondo un’altra logica, perché vede tutto alla luce del dono che lo attende, e comincia così a godere fin d’ora (anche se solo nella speranza) della pienezza della vita. Per questo costoro non cedono alla smania di sentirsi ricchi o felici, non hanno bisogno di imporsi e non sanno darsi pace davanti alle ingiustizie. Essi non legano chi fa loro del male al proprio errore e non mistificano né manipolano, ma costruiscono la pace e sono disposti persino a farsi perseguitare pur di custodire la giustizia e testimoniare il l’amore.
In tutti questi e in noi, quando facciamo nostra la logica di Cristo, si mostra l’opera straordinaria di Dio per cui tutto l’universo si inchina e lo loda. Egli si rivela come il Dio della vita, mentre ci salva non per i nostri sforzi o per le nostre capacità, ma per la forza travolgente del suo amore sovrabbondante che ci conduce lontano da ogni male e da ogni morte. Affidarsi a Dio e confidare nella sua salvezza non significa dunque abdicare alla nostra libertà e alla nostra responsabilità aspettando che lui ci sistemi la vita mentre noi cerchiamo di essere più bravi possibile, ma vivere pienamente tutto quello che siamo e, poi, di fronte alla nostra pochezza, al fallimento, al male a volte irrimediabile che ci troviamo fra le mani e di fronte alla morte da cui non sappiamo difenderci, rimanere comunque in piedi davanti a lui certi che egli ci donerà senza esitazione tutta la vita che non riusciamo a darci né a meritare, ma che il nostro cuore desidera proprio perché lui ce l’ha promessa.
30 - Ott - 2019

Festa di Tutti i Santi

Ogni Santi

M.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

Festa di tutti i Santi

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Le letture di questa solennità ci aiutano a fare piazza pulita di alcuni fraintendimenti nei quali cadiamo quasi tutti molto spesso quando pensiamo la santità. Infatti la liturgia della parola ci costringe ad accostare quello che ci sembra uno stile elitario, possibile a pochi, come la pagina delle Beatitudini, ad una moltitudine di santi e sante che nessuno può contare. Infine la seconda lettura – appena pochi versetti della prima lettera di Giovanni – si rivolge direttamente a noi (usa proprio la prima persona plurale coinvolgendo chi ascolta nella stessa condizione di chi scrive) per dirci che saremo simili a Dio.

In poche battute, quindi, ci troviamo anche noi immersi nella schiera innumerevole di quelli che hanno lavato le proprie vesti nel sangue dell’Agnello, che hanno riposto cioè la speranza della propria vita nell’amore del Padre, proprio come Gesù che, forte di questo amore, ha potuto annunciare la salvezza e testimoniarla fino al culmine del dono di sé.
Se accade per una folla innumerevole però, noi compresi, vuol dire che entrare nella schiera dei santi, che l’Apocalisse indica come testimoni, non è qualcosa di raro, riservato a chi è capace di prestazioni particolari, ma è invece un’esperienza propria di ogni credente. La fede infatti ci pone in questa condizione di continua santificazione e ci stringe in una tale relazione con Dio che nemmeno il peccato è più capace di ostacolare, poiché ciascuno viene purificato proprio nel fondare tutta la propria speranza in lui.
Essere santi dunque è una condizione ordinaria, propria di ogni credente, che prevede anche errori da cui veniamo continuamente purificati e che ci immerge nel popolo di quelli che hanno fatto dell’amore del Padre il fondamento della propria vita cui continuamente tornare e da cui continuamente ripartire per salire più in alto verso il monte del Signore.
Tutto questo, poi, per il credente è una gioia, che non dipende dalle contingenze favorevoli della vita, ma dall’avere assunto lo stile di Cristo. Vive la propria vita cristiana infatti chi fa suoi i tratti di Gesù e questo lo pone fra la schiera dei testimoni che mostrano con la propria esistenza la verità del Vangelo. Chi fa questo non pensa di avere una ricchezza più grande né più importante dell’amore del Padre (beati i poveri!), non ha bisogno di stare sempre nella gioia quindi può sopportare le fatiche e le sofferenze senza diventare violento o egoista per evitarle (beati gli afflitti!), non ha bisogno di sopraffare nessuno per trovare se stesso (beati i miti!), né di trovare mille giustificazioni alle ingiustizie pur di non sentirsi mancante e di non dover cambiare la propria vita per rendere il mondo più giusto (beati quelli che hanno fame e sete della giustizia!). Quelli che hanno i tratti di Gesù non hanno bisogno di conservare la memoria delle offese subite perché non vogliono riscuotere nessun debito ma dare all’altro la possibilità di vivere liberamente (beati i misericordiosi!), non hanno bisogno nemmeno di nascondersi e manipolare perché sono liberati dalla smania di apparire altro da quello che sono (beati i puri di cuore!), non hanno bisogno di evitare i conflitti per non avere problemi e così vi entrano per portare pace (beati gli operatori di pace!) e, infine, non hanno bisogno di essere applauditi e nemmeno lasciati in pace se per fare questo devono contraddire la giustizia e la fede (beati i perseguitati!). Chi vive così ha davvero da rallegrarsi, beato lui o lei, perché assapora la libertà da se stesso e può vivere la vita così com’è, con le lacrime, i fallimenti, la lotta per un mondo più giusto, i conflitti, le nostre povertà e miserie. Può vivere tutto come è e cogliere in questa ordinaria fatica la potente logica di Dio che ci conduce, insegnandoci a vivere tutto nell’amore, al suo luogo santo, per donarci benedizione e salvezza.