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12 - Nov - 2021

XXXIII Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XXXIII Domenica

Tempo Ordinario anno B

(Dn 12,1-3   Sal 15   Eb 10,11-14.18   Mc 13,24-32)
Domenica 14 Novembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La prima lettura, tratta dal libro di Daniele, e il Vangelo usano un linguaggio apocalittico che ai tempi in cui è vissuto Gesù era usuale, ma che è molto distante dal nostro modo di parlare. Si tratta di un linguaggio fortemente simbolico, pieno di contrasti, volutamente esagerato per colpire l’immaginario e il sentire, perché guarda la storia cercando di coglierne gli elementi decisivi, ciò che va assolutamente visto se non si vuole perdere l’occasione decisiva per vivere. I toni vengono esasperati e si descrive la vita come il teatro di una lotta fra il bene e il male, spingendo chi ascolta a prendere posizione e ad agire perché di conseguenza, perché è ormai giunto il momento decisivo.

È un linguaggio a cui non siamo abituati, ma se ci pensiamo bene, è un linguaggio assolutamente sensato per descrivere la vita umana: non va ogni momento vissuto come se fosse quello decisivo? Come possiamo sapere se quello che sta accadendo è la svolta cruciale della nostra vita o semplicemente l’ultima cosa che ci è data di vivere? E non sono forse tutte le generazioni di fronte al fatto che potrebbero essere l’ultima (così come dice Gesù nel Vangelo) e di fronte ad un tempo di grande angoscia (così come dice il libro di Daniele)? La crisi ambientale, la crisi economica, la pandemia, non ci mettono di fronte all’urgenza di agire come se questi fossero gli ultimi tempi che abbiamo a disposizione? Non lo sono forse davvero?

Guardando lo scorrere del tempo ci è chiesto di riscoprire che questo è il momento decisivo, perché proprio ora, quando angoscia (prima lettura) e tribolazioni (Vangelo) si fanno più intense, Dio sta venendo a salvare il suo popolo. Come quando vediamo intenerirsi il ramo degli alberi e spuntare le prime foglie noi sappiamo che arriva la bella stagione, così quando si staglia all’orizzonte quello che più spaventa, le minacce per la vita e per l’umanità intera, proprio ora bisogna cogliere la presenza del Figlio dell’uomo, del Risorto, che indica la via della vita da seguire, proprio ora si fa più vicina la salvezza. Lui (così ci guida la seconda lettura ancora tratta dalla lettera agli Ebrei) ha già attraversato angoscia e morte, mostrandoci la loro sconfitta e ora attende che ogni nemico – ogni morte cioè – venga sottomessa ai suoi piedi. Guardando lui, tenendo fisse nel cuore le sue parole che non passeranno, possiamo attraversare la tribolazione e lo sconvolgimento del mondo (indicato da Marco con l’immagine dei corpi celesti che perdono luce e altezza), certi con il salmista che il Signore è nostra parte di eredità, che la nostra vita è nelle sue mani e che per questo possiamo gioire e riposare, perché Dio ci indicherà il sentiero della vita in fondo al quale ci aspetta gioia piena e dolcezza senza fine. È questo, infatti, il momento in cui Dio salverà il suo popolo.

13 - Nov - 2020

XXXIII Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XXXIII Domenica T.O. (A)

(Pr 31,10-13.19-20.30-31   Sal 127   1Ts 5,1-6   Mt 25,14-30)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Domenica scorsa la parabola delle dieci vergini ci provocava a desiderare la sapienza, a cercarla, in modo da essere pronti nel momento in cui lo Sposo sarebbe arrivato: se anche ci addormentassimo nel frattempo, basta risvegliarsi e, con le lampade piene d’olio, entrare alla festa. Ci si presentava così l’immagine della vita come di un’attesa dell’incontro con Dio, che avverrà certamente alla fine dei nostri giorni, ma che avviene continuamente nelle vicissitudini della vita nelle quali egli si fa presente.

La seconda lettura di questa domenica sembra commentare il Vangelo di domenica scorsa: il giorno del Signore (l’incontro con lui) viene come un ladro di notte (stavolta non è uno Sposo, ma arriva comunque all’improvviso e in piena notte), non c’è situazione in cui ci si possa accomodare (ci si può appisolare ma non smettere di attendere) ma bisogna essere vigilanti, cioè forniti di ciò che serve per l’incontro (con le lampade piene di olio, per tornare all’immagine della parabola).
Proviamo a chiederci allora che cosa sia l’olio che dobbiamo procurarci. Il Vangelo di questa domenica credo ci aiuti a rispondere a questa domanda. Gesù racconta la parabola dei talenti. Un uomo parte per un viaggio e distribuisce i suoi beni ai servi, a ciascuno secondo le sue capacità, perché quando ritorna quelli siano moltiplicati. Questo padrone non è geloso di ciò che possiede, preferisce che altri lo gestiscano e lo facciano crescere, piuttosto che conservarlo sterilmente pur di non farlo toccare a nessuno. Ci viene data così un’immagine di Dio straordinaria, perché egli non solo crea e fa vivere tutte le cose, ma le consegna a quelli che ama come se fossero le loro: egli non governa il mondo da solo, ma tramite il servizio coinvolto, coraggioso e responsabile di quelli che lo servono.
Non tutti però reagiscono allo stesso modo davanti al dono di Dio. Non un problema di capacità personali né di quantità dei beni prodotti (uno riceve cinque talenti e altri cinque ne guadagna, uno ne riceve due e altri due ne guadagna), il punto è l’atteggiamento di fondo: quando i doni di Dio e la sua fiducia vengono disprezzati e il servo non fa proprio nulla di ciò che gli è stato affidato, quando seppellisce tutto, si tira indietro, fa il minimo, aspetta da Dio ciò lui che ha chiesto a noi. Malvagio e pigro: così viene giudicato, perché non ha avuto il coraggio di giocare se stesso nella sfida che la vita gli offriva: moltiplicare i doni ricevuti a vantaggio di tutti.
L’olio che continuamente lungo il corso dell’esistenza bisogna procurarci, allora, potrebbe essere proprio questo coraggio, questo zelo, questa capacità di spendere tutto di sé perché i doni che ci sono messi tra le mani, le persone che ci sono affidate, il tempo, le responsabilità, gli impegni, il creato, le relazioni sociali, tutto si moltiplichi. Avremo la lampada piena d’olio se avremo trascorso la vita come la donna descritta nella prima lettura tratta dal libro dei Proverbi: senza sosta al lavoro dedita a ciò che le è affidato.
Ma per sapere se davvero ci siamo spesi per moltiplicare i doni di Dio o se invece li abbiamo seppelliti per occuparci d’altro, bisogna assumere i criteri di giudizio di Dio, sui quali ci illuminerà il Vangelo di domenica prossima, con il quale arriviamo alla festa di Cristo re che ci porta a contemplare in lui la sapienza che gli ha fatto donare tutto di sé per ciò che gli era stato affidato, questa sapienza ci insegnerà quale servizio è capace di procurarci ciò che ci serve per l’incontro con Dio e quale ci lascia al buio con le lampade vuote e una moneta del tutto inutile sotto terra.
16 - Nov - 2019

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La storia è piena di minacce, di eventi terribili che hanno segnato la fine di intere civiltà. Nel Vangelo di questa domenica Luca ci guida dentro questi eventi spaventosi per rovesciarne il significato e farli diventare – come leggiamo nel versetto al canto dell’Alleluia – un motivo per rallegrarsi perché la nostra liberazione è vicina.

L’occasione del discorso di Gesù è l’orgoglio di alcuni per la bellezza del tempio, del quale Gesù preannuncia la distruzione. Le meraviglie artistiche, economiche, ingegneristiche che l’uomo costruisce sono destinate a passare: se non è un nemico, sarà la guerra, oppure un terremoto o semplicemente l’abbandono per un qualsiasi motivo. Tutto passa. Questo vale per ogni opera che ci fa inorgoglire, fosse pure un’idea di chiesa che abbiamo ereditato: non è il passato che possiamo guardare per vivere, ma il presente attendendo il futuro. Veniamo istruiti così a guardare la storia in altro modo.
A questo punto Gesù chiama in causa guerre, rivoluzioni, pestilenze, carestie, terremoti, fatti terrificanti, persecuzioni. Molto duramente ci riporta alla realtà di ogni giorno, togliendoci l’illusione di poter confidare in ciò che abbiamo costruito (non resterà pietra su pietra). Nelle società ricche come la nostra possiamo illuderci di essere al sicuro dalla povertà o dalla guerra, per esempio, ma le ingiustizie e le disuguaglianze che sono nel mondo non restano più confinate e bussano alla nostra porta nei volti stremati dei migranti o in quelli folli dei terroristi. Le nostre abilità tecniche poi impallidiscono di fronte alla violenza della natura di cui siamo responsabili: Venezia finisce sott’acqua, i territori cedono sotto la pressione dei cambiamenti climatici. I fatti terrificanti sono sempre esistiti ed esistono anche oggi, come anche esiste la persecuzione di coloro che credono. Questa non va confusa con l’ostilità che spesso i credenti si attirano diventando violenti con gli altri in nome dei propri valori e della difesa della propria tradizione, la persecuzione è piuttosto frutto della reazione che l’ingiustizia mette in atto contro chi la combatte. Se viviamo facendo il bene degli altri e liberandoli da ciò che li fa soffrire e veniamo contrastati, allora si può parlare di persecuzione.
Di fronte a tutto questo però ci viene detto di risollevarci e alzare il capo, perché la nostra liberazione è vicina. Il senso di questa logica ci viene dischiuso dalla prima brevissima lettura del profeta Malachia. I giorni terribili infatti, che poi sono i giorni ordinari della vita nella quale sappiamo bene di essere esposti ad ogni fatica e pericolo, non hanno sempre lo stesso effetto: per chi ha vissuto dedito all’ingiustizia, quindi senza preoccuparsi di fare il bene, le fatiche della vita e della storia saranno come un fuoco che brucia tutto. Che cosa resta in mano a chi ha vissuto per guadagnare quando la ricchezza (o la salute o la sicurezza sociale) viene meno? Per chi invece vive sotto lo sguardo di Dio e servendolo nei fratelli e nelle sorelle, anche i giorni più drammatici sono solo un passaggio, anzi un chiaro segnale che questa vita non è l’unica né l’ultima, ma che ci attende la pienezza della vita in Dio. La morte, come anche le difficoltà della vita o della storia, operano così un giudizio, portando alla luce per che cosa siamo vissuti. Come un fuoco che prova di che materiale è ciò che ci buttiamo dentro.
Come vivere allora, sapendo che questa è la condizione dell’essere umano e che non siamo al riparo dalle conseguenze terribili dell’ingiustizia né dalle fatalità della vita? Consapevoli di essere infinitamente amati e quindi (come ci esorta a fare la seconda lettera ai Tessalonicesi) lavorando per guadagnarci di che vivere, per condividere con altri e per contrastare in ogni modo il male e l’ingiustizia. Vivendo così ogni evento della vita, anche il più faticoso, ci si rivelerà come una venuta del Signore, che non ci lascia soli e che viene a ribaltare le tragedie in liberazione, annunciandoci un futuro di vita. Rallegriamoci allora come ci invita a fare il salmo: battiamo le mani insieme ai fiumi, esultiamo con le montagne, perché il Signore viene a giudicare a la terra, con giustizia e rettitudine. E resterà solo ciò che vale, per portare la vita piena per tutti.