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01 - Ott - 2021

XXVII Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XXVII Domenica

Tempo Ordinario anno B

(Gen 2,18-24   Sal 127   Eb 2,9-11   Mc 10,2-16)
Domenica 3 Ottobre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La liturgia della Parola di questa domenica mette al centro la relazione fra maschi e femmine, in modo particolare la relazione affettiva e sponsale che si può dare fra loro. Questa non è idilliaca, ma minacciata fin dall’inizio. Nel racconto della Genesi infatti l’autore sacro ci descrive l’essere umano ancora asessuato (né maschio né femmina) che viene addormentato per dar vita a due diverse modalità di essere umani: la femmina e il maschio. Quest’ultimo però quando si sveglia dal sonno, dichiara che ciò che vede (la femmina) è uscita da lui ed è sua: la prima affermazione è falsa (la femmina non è fatta con una parte del maschio, ma è l’essere umano asessuato che viene diviso in maschio e femmina, anche se la traduzione che leggiamo non ci aiuta subito a capirlo) e la seconda affermazione è una pretesa violenta, perché senza nemmeno rivolgerle la parola e senza farla parlare, l’uomo decide e dichiara che la donna è per lui. L’autore della Genesi ci rende così l’ambiguità dell’esperienza delle relazioni fra maschi e femmine: un dono offerto gli uni alle altre per essere un aiuto reciproco con il rischio, però, che uno prenda l’altro per sé, per il proprio comodo.

Non è strano che sia il maschio a compiere questa violenza, perché le società antiche, come ancora la nostra, non sono paritarie e non danno alle donne le stesse possibilità di disporre di sé che hanno gli uomini, per cui sono questi ad essere nella posizione di fare violenza (anche se poi le donne hanno saputo e sanno trovare altre vie per divorare a loro volta chi dovrebbe essere per loro un aiuto reciproco). Nei tanti femminicidi che accadono, queste dinamiche vengono drammaticamente alla luce; quando infatti un uomo perde il controllo su una donna o questa non fa quello che lui si aspetta, questi può arrivare persino ad uccidere, perché imbevuto di una cultura e di una logica che fanno di lui quello che ha il diritto di dirle: tu sei uscita da me e sei fatta per me.

Gesù (che, nei pochi versetti della lettera agli Ebrei che costituiscono la seconda lettura, è indicato come solidale nelle sofferenze degli esseri umani, tanto da essere per loro un fratello) conosce bene le fatiche delle relazioni fra uomini e donne e quando gli viene posta la questione del ripudio (che non è il divorzio, cioè una separazione paritaria, ma un abbandono della moglie ridotta per questo molte volte in una condizione sociale ed esistenziale terribile) insegna un’altra logica, quella originaria, cioè quella del progetto di Dio che parlava di dono reciproco e di custodia reciproca. Nessuno dei due può avere il potere di ridurre l’altro/a in una condizione di abbandono, ma devono imparare a riconoscersi carne l’uno dell’altra, qualunque cosa accada. Potremmo arrivare a dire che, anche nel caso in cui una relazione matrimoniale diventasse impossibile, marito e moglie dovrebbero continuare a favorire la vita dell’altro/a in ogni modo umanamente possibile, senza abbandoni e senza umiliazioni, come invece prevedeva il ripudio (anche se avveniva solo nei confronti della donna).

Il modello che Gesù offre per vivere così sono (di nuovo) i bambini. Questi infatti non sono mai in posizione di potere, non possono umiliare o abbandonare, ma stanno di fronte agli altri come chi attende la vita ed è pronto a ricambiare il dono ricevuto con una dedizione assoluta. I bambini sanno di non essere autonomi e di non essere più grandi di nessuno: questa piccolezza che li fa aprire alla fraternità è ciò che Gesù insegna per ogni relazione, compresa quella – tanto affaticata – tra maschi e femmine. La logica del regno è sempre la stessa: farsi i più piccoli perché la vita di nessuno sia impedita.

05 - Ott - 2019

XXVII Domenica del Tempo Ordinario

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXVII Domenica del Tempo Ordinario

Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa

Facciamo un tentativo spregiudicato e leggiamo la prima lettura di questa domenica (la lamentela accorata del profeta Abacuc perché le ingiustizie non finiscono) come un commento al Vangelo di domenica scorsa, cioè la parabola del ricco e del povero Lazzaro che elemosinava alla sua porta.
Di fatto il povero trascorre la vita nell’umiliazione e nella sofferenza. Dio parla, ama, eppure l’oppressione non finisce. Il profeta Abacuc di fronte a situazioni come queste dice: “Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese”. Dobbiamo aspettare la vita dopo la morte per vedere qualcosa di altro, come sembra suggerire il Vangelo di domenica scorsa? In realtà la parabola di Gesù sul ricco e sul povero Lazzaro è per i ricchi egoisti, per indicare loro la via della vita, la possibilità di ascoltare una parola che conduca alla conversione e alla salvezza. Ma per i poveri? “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido e non salvi?”, di nuovo sono le parole di Abacuc.
I poveri, coloro che non opprimono e non usano violenza, i giusti non hanno bisogno di convertire le loro vite, ma hanno bisogno di guardare meglio ciò che accade perché lo sconforto non li prenda distruggendo la speranza. Solo uno sguardo sulla realtà che viene dalla fede, può insegnare a distinguere ciò che è provvisorio per quanto terribile (il male, l’ingiustizia, la morte) da ciò che non passa e che vince tutto (l’amore, la giustizia e la vita). Avere questo sguardo cambia tutto e fa la differenza fra la vita e la morte.
Stamattina non stavo bene e non sono riuscita ad alzarmi presto come al solito, mentre mi rammaricavo di tutto quello che non riuscivo a fare, il mio figlio più piccolo si è infilato sotto le coperte e si è accoccolato vicino a me per molto tempo. Ha potuto farlo solo perché stavo male, altrimenti quando lui si sveglia io sono in piedi da tempo. Era felice, rassicurato, una specie di festa inaspettata. Quello che per me era stato un danno per lui era stato un regalo e lo è diventato anche per me. Gli occhi dell’amore vedono tutto in altro modo, scovano la vita ovunque, cancellano il male ricevuto, trasformano le sofferenze in occasioni, sperano la vita anche nella morte. La fede dona questi occhi sempre e su tutto, perché chi crede è una persona che vive costantemente consapevole di essere infinitamente amata da Dio, niente altro. Questo basta per vivere: il giusto vivrà per la sua fede. Non stupisce allora che la seconda lettera a Timoteo ci esorti a ravvivare il dono ricevuto, a custodirlo e a non vergognarsene: è tutto ciò che serve per vivere.
La fede dunque è una consapevolezza profonda dell’amore del Padre ed è capace di farci vivere in ogni situazione, anche quelle umanamente impossibili: questo vuol dire Gesù nel Vangelo usando l’immagine dell’albero che si sradica e si pianta nel mare. In fondo potremmo immaginarci come un albero che a volte perde la possibilità di affondare serenamente le proprie radici sulla terra, ma anche dovesse accadere la fede ci farebbe vivere e prosperare anche in mezzo alle onde del mare più inospitale.
Tutto ciò però – sembra ammonirci subito Gesù – può essere vissuto solo nell’umiltà. La consapevolezza di essere infinitamente amati e che questo amore è capace di farci vivere non può farci diventare superbi, oppure pretenziosi verso Dio quasi ci dovesse qualcosa o fosse nostro servitore, al contrario l’amore che sperimentiamo ci fa trascorrere i giorni servendo, scrutando intorno a noi per vedere se c’è rimasto qualcosa da fare per servire Dio e i fratelli. Vivremo questo continuo servire non come un vanto, ma come l’ovvio (i servi sono tali perché servono, è quanto devono fare, niente altro) e nonostante ciò lo sentiremo come un privilegio, perché sarà la nostra possibilità di corrispondere all’amore ricevuto. L’amore che ci fa vivere, la fede, non porterà frutto solo per noi allora, ma per tutti quelli che incontreremo e in questo modo si avvererà la sentenza del profeta Abacuc: è posto un termine all’ingiustizia e al dolore. E quando questi saranno debellati potremo guardarci intorno con una punta di rammarico: adesso siamo servi inutili, come possiamo amarti Signore?