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04 - Dic - 2021

II Domenica di Avvento anno C

Avvento

II Domenica di Avvento

Anno C

(Bar 5,1-9   Sal 125    Fil 1,4-6.8-11   Lc 3,1-6)
Domenica 5 Dicembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Che cosa stiamo attendendo? La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci racconta di un popolo su una strada. È un popolo che ha vissuto l’esilio, è stato umiliato e ferito, ha il cuore e i ricordi pieni di lutti e dolore. Ora questo popolo viene ricondotto a casa. Un annuncio di gioia, di ritorno, di guarigione e consolazione profonda. Forse il primo passo di questa domenica è accorgerci che siamo in esilio, guardare senza veli le ferite e i fallimenti che sperimentiamo, i lutti e le paure (personali, ecclesiali e sociali): fare verità senza sconti e senza mezze illusioni. E a questo punto l’annuncio di un ritorno forse ci sembrerà impossibile: come ricominciare, come rallegrarsi di nuovo?

La voce di Giovanni nel deserto però ci provoca. La conversione è sempre possibile: aprire il cuore alla logica di Dio, farsi perdonare l’imperdonabile e accettare dalle sue mani una nuova possibilità di vita, perché – così il brano della lettera ai Filippesi – Dio porterà a compimento l’opera buona che ha iniziato in noi. Non c’è soltanto l’esilio e il fallimento (che pure bisogna guardare e riconoscere), c’è anche l’opera buona che Dio ha iniziato in noi e che si cura di portare a compimento: non possiamo fare nulla che lo distolga dal proposito di condurci alla vita.

E così la bellissima prima lettura, tratta dal profeta Baruc, ci dà qualche dettaglio sul cammino che ci attende. Mentre camminiamo feriti e umiliati lontano dall’esilio, Dio stesso prepara un trionfo, spiana le montagne davanti ai nostri passi perché il cammino sia piano e diritto, colma ogni valle perché si possa andare sicuri, persino le selve invece di minacciare diventano riparo ombroso dal calore. Non siamo abbandonati lungo la strada, il rientro non dipende dalle nostre abilità, partire e decidere di camminare dipende da noi (crescere ad ogni passo nella carità e nel discernimento, ci dice ancora la lettera ai Filippesi), ma il cammino è preparato e custodito e l’esilio ci sta alle spalle.

Davanti a noi l’immagine bellissima di Gerusalemme che come una madre che esce dal lutto, si riveste a festa e si alza ad accogliere i figli che credeva morti. Potremmo vedere in questa immagine la chiesa, che attende di diventare ciò di cui il mondo ha bisogno: il segno visibile ed efficace della comunione che Dio realizza con gli esseri umani e fra gli esseri umani. La chiesa (noi), oggi così affaticata, spesso poco credibile, abbarbicata in difesa di un tempo finito e persino a volte lontana dal Vangelo, si alza in piedi pronta ad accogliere ciascuno di noi che torna per renderla ciò che deve essere: il popolo di Dio in mezzo agli esseri umani, perché tutti possano sperare, trovare pace, vivere. Il segno credibile dell’amore del Padre.

Non importa quanto è stato lungo l’esilio né quanto abbiamo pianto: “Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”. Questo attendiamo.

27 - Nov - 2021

I Domenica di Avvento anno C

Avvento

I Domenica di Avvento

Anno C

(Ger 33,14-16   Sal 24   1Ts 3,12-4,2   Lc 21,25-28.34-36)
Domenica 28 Novembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Ogni volta che nella vita ci troviamo ad aspettare qualcosa di importante, soprattutto un incontro che sappiamo essere decisivo per noi, nel nostro cuore abitano da una parte l’esaltazione, la speranza, il desiderio che tutto avvenga presto, e dall’altra la paura, la trepidazione, l’angoscia persino. Quando un incontro è decisivo infatti può riempire la nostra vita del bene che speriamo (e da qui la attesa gioiosa e trepidante) oppure può distruggere i nostri desideri (e da qui la paura, la tendenza a spostare in avanti il momento, l’ansia).

Le letture di questa domenica, che aprono il tempo d’Avvento cominciando a farci leggere il Vangelo di Luca, hanno questo sapore agrodolce, perché prendono sul serio l’incontro con Dio che ci aspetta: nel Vangelo i toni apocalittici degli stravolgimenti e della paura, nella prima lettura la bellezza della realizzazione di ogni attesa. Questi pochi versetti del profeta Geremia, dopo aver parlato di giorni in cui si realizzano le promesse di bene fatte da Dio, nominano per bene tre volte la realizzazione della giustizia (giusto, giustizia, Signore-nostra-giustizia) e per due volte fanno riferimento al germogliare (farò germogliare un germoglio giusto). A chi ascolta e – come noi – vive in un mondo ingiusto, questo annuncio apre scenari altri e promette una novità. Il Vangelo, però, sembra riportarci subito con i piedi per terra evocando segni nel cielo e angoscia sulla terra e annunciando una paura da morire davanti a ciò sta per accadere. Invece del compiersi del bene, sembra venirci incontro qualcosa di terribile. E proprio a queto punto Gesù ci sorprende: infatti quando arriva ciò che fa temere ci invita ad alzare il capo perché la nostra liberazione è vicina.

Sembra quasi dirci che il male o gli eventi spaventosi del mondo non sono il segno che Dio è lontano e disinteressato, ma al contrario sono il luogo in cui viene: quando il pericolo si fa più intenso è proprio il momento in cui lui è più vicino. E per questo occorre vegliare, non bisogna lasciarsi distrarre dagli affanni – rimanendo bloccati dalla paura – né dal desiderio di sfuggire la realtà – le ubriachezze – ma non bisogna lasciarsi neppure trascinare a sperperare la vita e ciò che si è (dissipatezze), come se non stessimo aspettando nessuno, come se il Signore non stesse preparando l’incontro con noi, come se la vita fosse senza meta.

Sembrerebbe che il compimento delle promesse di bene e il germogliare della giustizia vadano cercati proprio in mezzo a ciò che più spaventa delle vicende della vita, mentre tutto quello che bisogna fare nell’attesa (ci dice Paolo in questi pochi versetti della lettera ai Tessalonicesi) sembra sia crescere nell’amore. È l’amore infatti che ci permette di vivere nello sconvolgimento di cielo e terra portando vita dove sembra non ci sia, abitando ovunque, anche in quello che sembra un inferno, facendo spazio alla vita e facendola crescere. E così, amando, si sta attenti a se stessi, perché istruiti da Dio su quale sia via giusta e su quali siano i suoi sentieri (Dio si confida con chi lo teme!). In un attesa così vissuta forse proveremo anche timore, ma questo sorgerà solo dall’amore: chi ama non teme di incontrare chi spera gli dirà che vuole passare la vita con lui? E la donna che sta per partorire non teme all’idea di avere il primo figlio? Forse proprio questo santo timore che nasce dall’amore ci libererà dal rischio di perderci altrove, dimenticandoci chi è che ci sta aspettando e cosa sta facendo germogliare. Ecco verranno giorni: questi giorni.