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30 - Ott - 2021

XXXI Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XXXI Domenica

Tempo Ordinario anno B

(Dt 6,2-6   Sal 17   Eb 7,23-28   Mc 12,28-34)
Domenica 31 Ottobre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Se domenica scorsa i pochi versetti della lettera agli Ebrei (seconda lettura) riprendevano la condizione umana di Gesù e quindi la sua capacità di comprendere tutte le nostre debolezze, perché anch’egli ha vissuto questa stessa debolezza, oggi, continuando la lettura della stessa lettera, Gesù ci viene descritto come senza macchia e perfetto, diverso dai sacerdoti umani (il confronto è fatto con i sacerdoti del culto ebraico) che devono offrire sacrifici anzitutto per le proprie mancanze. In che cosa consiste questa perfezione, però, dal momento che sappiamo che anch’egli conosce bene la debolezza, la sofferenza e persino la morte?

Gesù stesso ce lo rivela nel momento in cui questo scriba (siamo arrivati al dodicesimo capitolo del Vangelo di Marco) lo interroga: quale è il primo di tutti comandamenti? Questa domanda potrebbe essere, forse, riformulata così: a cosa ti dedichi? Di che cosa ti preoccupi sempre? Per che cosa vivi? E Gesù risponde non con un comandamento, ma con due. E non risponde seguendo l’ordine dei dieci comandamenti (certamente i più importanti fra i tanti che la tradizione ebraica conosceva e conosce) ma risponde dalla pienezza del suo cuore: il primo dei comandamenti è amare Dio con tutto ciò che si è e si ha, con l’intelligenza (mente), le azioni (forza) e con ogni respiro (l’anima). Aggiunge poi che questo amore non è mai solo, perché quando si vive amando Dio, si ha – proprio come Gesù – un cuore appassionato e compassionevole, e quindi l’amore di Dio si accompagna sempre all’amore del prossimo che viene amato come se stessi. L’altro infatti non è Dio e non può essere amato come Dio, come senso di ogni respiro, ma nemmeno si può amare se stessi così, perché nemmeno noi siamo Dio: Dio va amato sopra tutto, con tutto quello che siamo, e in questo amore, che diventa come l’aria che respiriamo, possiamo appassionarci all’altro, dedicarci a lui e a noi stessi, senza che nessuno di questi amori prenda il sopravvento sull’altro. Si scopre così, come lo scriba, che l’amore vale più di tutti i sacrifici, perché l’amore di Dio, del prossimo e di se stessi vissuti insieme conduce alla vita, non alla morte né all’immolazione di sé.

Mantenere l’equilibrio non è facile: dedicarsi ad amare Dio senza curarsi di sé e del prossimo fa della nostra vita qualcosa di disincarnato e non vero, perché Dio stesso è amore che spinge verso l’altro: solo chi ama conosce Dio. D’altra parte amare il prossimo come se fosse più importante di Dio e della nostra stessa vita può portarci a fare dell’altro un padrone (perché lo trattiamo come Dio ma non lo è) facendoci perdere libertà e vita. Amare infine solo se stessi – anche se si parla di Dio e si fanno opere buone – è solo la caricatura dell’essere umani, perché l’essere umano – creato ad immagine di Dio – è definito dall’amore. Si scopre così che per amarsi, per farsi del bene e custodire la propria vita, occorre avere un cuore capace di passioni, di affetti, di dedizione, di legami: per amarsi (per darsi vita) occorre trascorrere il proprio tempo nell’amore di Dio e del prossimo.

Così, ascoltando le Parole di Dio che ci insegnano l’amore – ci dice la prima lettura tratta dal Deuteronomio – si prolungheranno i nostri giorni, saremo felici e numerosi in una terra piena di delizie. La pienezza della vita riposa nell’amore dunque, proprio come è per Dio è anche per noi: questa è la roccia sicura, il baluardo, la potente salvezza che ci viene offerta contro ogni nemico. E questa è la via che conduce al regno di Dio, da cui secondo Gesù lo scriba non è lontano, al luogo cioè in cui solo la vita di tutti e tutte viene favorita e custodita, dove niente altro che non sia amore ha diritto di cittadinanza e spazio da occupare, un luogo che possiamo abitare già ora, proprio come Gesù, dediti all’amore che conduce alla pienezza della vita.

02 - Nov - 2019

XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Forse siamo abituati a pensare che le persone (noi compresi) non possano cambiare. A volte è persino una argomentazione per continuare a vivere come si sta facendo: sono fatto così. O per chiudere il discorso su qualcuno: è fatto così. Siamo abituati alle notizie di male e di ingiustizia: il mondo è fatto così. Abbiamo uno sguardo disincantato che ci toglie ogni attesa di novità. Forse per questo la festa dei Santi ci sembra la memoria di storie altrui, molto diverse dal solito, mentre la commemorazione dei defunti ci sembra solo un doveroso ricordo per chi già ha attraversato la morte, che aspetta tutti inesorabile: la vita è fatta così.

Il Vangelo di questa domenica racconta tutta un’altra storia che, anche se non ce ne accorgiamo, accade continuamente: le persone cambiano, il mondo cambia, noi cambiamo, persino la morte è trasformata. Il protagonista di questa storia è Zaccheo, un uomo ricco (e questa per il Vangelo di Luca è la peggiore delle condizioni perché chiude il cuore agli uomini e a Dio), capo dei pubblicani (deve quindi la sua ricchezza all’ingiustizia e al tradimento), basso di statura (che nella fisiognomica del tempo indicava l’essere ridicoli, cosa che accade spesso quando ci si gonfia della propria posizione credendosi chissà che cosa), ma animato da un curioso desiderio: vuole vedere Gesù. Questa unica caratteristica, un dettaglio irrilevante rispetto al resto, diventa l’occasione per incrociare lo sguardo con Gesù, che subito vuole fermarsi presso di lui.

L’atteggiamento di Gesù scandalizza molti, perché non bisogna cercare la compagnia dei peccatori, tenersi lontano da loro. Perché Gesù non lo fa? Perché vuole fermarsi da un uomo simile? Gesù, nel guardare Zaccheo, ha visto altro dal suo peccato. Ha avuto verso di lui lo stesso atteggiamento che il libro della Sapienza attribuisce a Dio: ha compassione di tutti, chiude gli occhi sui peccati aspettando la conversione, non prova disgusto per nulla di ciò che ha creato, corregge a poco a poco quelli che sbagliano perché, abbandonato il male, credano.

Dio non disprezza mai ciò che siamo. Dona il suo Spirito continuamente perché (come scritto nella lettera ai Tessalonicesi) ogni proposito di bene che ci abita (fosse anche piccolissimo) giunga a compimento: magari è solo la curiosità di vedere Gesù ma Dio vi vede l’occasione per fermarsi con noi e darci una nuova possibilità di essere degni della sua chiamata. Non facciamoci allarmare dunque da altri discorsi che ci confondono la mente dicendoci che Dio condanna o che non è possibile sperare né per noi né per il mondo, come se il tempo in cui Dio agisce fosse finito.

Fermiamoci invece, come Zaccheo, davanti a Gesù che condivide con noi la nostra casa, il nostro spazio, le nostre fatiche. Il suo amore può cambiarci il cuore, convertirci. Il segno della conversione saranno gesti di giustizia insperabili: Zaccheo va ben oltre la legge restituendo non quanto ha rubato ma quattro volte tanto e inoltre dà la metà di quanto possiede ai poveri. La conversione dal peccato e dall’ingiustizia, in cui continuamente (seppure diversamente) rischiamo di ricadere, si concretizza nell’usare ciò che abbiamo accumulato ingiustamente (tempo, beni materiali, risorse culturali, riposo, influenza sociale o ecclesiale, fama, ecc…) per togliere altri dalla povertà e per rimediare ai torti fatti (possibilmente verso le stesse persone cui li abbiamo fatti e facendo di ciò che abbiamo accumulato ingiustamente proprio una risorsa per fare del bene).

Purtroppo, invece, a volte la conversione ci spinge a voler essere diversi da prima per meritarci l’amore ricevuto, a voler diventare finalmente ineccepibili. La conseguenza spesso è l’intransigenza e la mancanza di misericordia, per non parlare dell’incapacità di accettare la debolezza che abbiamo e che vorremmo rimuovere e negare per essere finalmente “buoni”. Come se per ricambiare l’amore di qualcuno invece che amarlo, dovessimo comportarci sempre come gli piace…finiremmo per passare il tempo a pensare a noi stessi (come sono vestito, cosa dico, cosa faccio, come mi comporto), ma questo non sarebbe più amore, che invece sempre ci fa pensare a come l’amato è bello vestito così, a cogliere le sfumature del suo parlare, a chiederci perché si comporta in un certo modo e ammirare ciò che fa. Da questo stare rivolti sorgeranno anche i nostri gesti e i nostri comportamenti e allora nasceranno dall’amore.

Incrociare davvero lo sguardo di Gesù significa scoprire che noi siamo ben altro dal nostro peccato e dal nostro limite: siamo ciò che Dio desidera al punto da aver mandato il suo figlio. Non abbiamo bisogno di sforzarci di essere buoni (tanto meno ineccepibili), ma solo di lasciarci attrarre da questo sguardo che è capace di insegnarci la misericordia che realizza la giustizia. Da qui la gioia che il salmo ci insegna: misericordioso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore, fedele nelle parole, buono nelle opere, egli sostiene chi vacilla e rialza chi è caduto. Come non benedirlo ogni giorno e lodare il suo nome sempre?