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06 - Ago - 2020

XIX Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XIX Domenica T.O. (A)

(1Re 19,9.11-13   Sal 84   Rm 9,1-5   Mt 14,22-33)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il racconto di Gesù che cammina sulle acque si trova anche nel Vangelo di Marco e in quello di Giovanni, ma Matteo arricchisce l’episodio con il ruolo giocato da Pietro, sottolineando l’importanza di questo discepolo e allo stesso tempo offrendoci una possibilità di identificazione nel cammino che l’episodio ci chiede per giungere a riconoscere il Signore (cosa affatto scontata se Marco chiude il proprio racconto con l’incredulità dei discepoli che non avevano compreso il fatto della moltiplicazione dei pani e avevano il cuore indurito).

Il dialogo fra Pietro e Gesù che Matteo ci racconta è particolarmente interessante perché evoca un altro episodio sul mare, riportato anche da Marco e Luca, cioè la tempesta durante la quale Gesù dorme sulla barca e viene svegliato dai suoi impauriti. Nel racconto di questo fatto Matteo usa per i discepoli lo stesso termine che usa per Pietro nell’episodio di questa domenica e che si può tradurre “persona di poca fede”. Il primo evangelista quindi nasconde qui un richiamo all’episodio della tempesta domata, come a dirci che i discepoli, in particolare Pietro, non riescono ancora a fidarsi del Signore anche se lo hanno già visto sgridare il vento e calmare il mare. Il cammino della fede non è immediato, non si dà una volta per tutte, chiede passi continui, conosce regressi, dubbi, continue necessità di conferma e bisogno di cura, come ogni rapporto di amore. Pietro in questo episodio diventa per noi un segno di consolazione.
Anche noi infatti siamo di notte in alto mare. Il vento è contrario. Facciamo fatica e la barca è agitata. In questa situazione il Signore che ci viene incontro non è riconoscibile. Si tratta di un altro elemento pauroso: chi è costui che si avvicina? che cosa è mai questa presenza o questa parola? Si tratta di qualcosa di troppo sfuggente e noi siamo in una situazione troppo difficile: è normale concludere che sia un fantasma, qualcosa che ci inganna, che non ci può essere di nessun aiuto. Nella situazione in cui siamo (e in cui il mondo è) ci aspetteremmo un intervento più deciso, come sembra insinuare la prima lettura che ha per protagonista il profeta Elia. Ci aspetteremmo una presenza potente, un vento impetuoso che spacca i monti, un terremoto, un fuoco, ma il Signore invece si fa presente in una brezza leggera, un vento appena percettibile, un’ombra sul mare di notte.
Diversamente da Elia, ci sembra troppo poco, non lo riconosciamo e abbiamo paura tanto da gridare. A questo punto nei Vangeli Gesù rassicura i suoi: sono io, non abbiate paura. Cerca di farsi riconoscere. In quanti modi! Si offre a noi nella bellezza del mondo e nel calore delle relazioni d’amore, si fa presente nella lucidità dell’intelligenza e nella forza del corpo, si mostra nell’umanità ferita e indomita, nelle intuizioni dell’arte e nel mistero invaso dai ricercatori, si dischiude nella storia e nella parola che raccontano ciò che ha operato per noi e che la chiesa continuamente celebra, annuncia e vive. In quanti modi ci ripete: sono io, non abbiate paura!
Allora, attingendo coraggio da questo timido riconoscimento, qualche discepolo prova ad avventurarsi sul mare: se sei tu, comandami di venire da te sulle acque. Che cosa muove Pietro? E cosa muove chi di noi tenta l’impresa? Vuole vedere se è davvero il Signore? Vuole metterlo alla prova? Comincia ad avere fede che può anche lui domare il mare se unito a Gesù? Oppure è l’euforia di fare grandi imprese che lo spinge? Forse anche Gesù era curioso di saperlo perché gli comanda di andare, ma presto Pietro si impaurisce per il vento e comincia ad affondare. Allora Gesù gli svela la verità del suo cuore: uomo di poca fede. Come di poca fede erano stati i discepoli che avevano svegliato Gesù durante la tempesta. Tante parole e tanti segni (qualcosa di simile a quanto accade ad Israele di cui Paolo ci racconta nella seconda lettura: tanti privilegi, doni e prodigi, non erano ancora bastati ad Israele per riconoscere il Signore) eppure la fede resta poca.
Può essere che anche noi siamo così: tanto cammino e tanti doni a fronte di una fede così piccola che il vento subito ci fa affondare davanti a Gesù che ci chiama a camminare verso di lui. A questo punto non resta che gridare, Signore salvami!, perché la sua mano sarà pronta a prenderci e farci salire sulla barca dove il vento cessa.
Solo ora, senza imprese eroiche da vantare, senza una fede da additare ad esempio, uomini e donne paurosi e dubbiosi così come siamo, potremo prostrarci davanti al Signore che fa cessare il vento e calma il mare: Davvero tu sei il Figlio di Dio. Approderemo così alla riva della consegna umile e povera di noi stessi, nella quale quello che siamo sarà sempre un dono ricevuto da lui che continuamente ci trae dalle acque della vita e della nostra incredulità. Forse perché si dia un riconoscimento autentico del Signore che ci ama e ci salva, occorre sperimentare fino in fondo la fragilità di ciò che siamo e la poca consistenza della nostra fede, perché nella verità di noi stessi, senza poter confidare in ciò che crediamo di essere, possiamo conoscere davvero chi è colui che sa camminare sul mare, placare ogni tempesta e condurci al riparo. Forse Pietro ha imparato proprio in questo momento quanto poco avesse da vantare, cominciando così a seguire veramente colui da cui tutto poteva sperare.