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31 - Gen - 2020

Presentazione del Signore

Presentazione di Gesù al Tempio

Piccolo Eremo delle Querce

Presentazione del Signore

(Ml 3,1-4   Sal 23   Eb 2,14-18   Lc 2,22-40)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Ogni domenica celebriamo il mistero pasquale di Cristo. Quando capita una festa del Signore, la contemplazione di questo mistero viene illuminata sotto un particolare aspetto e nella festa della Presentazione al tempio, tornando sul racconto dell’infanzia di Gesù fatto da Luca meditato a Natale, possiamo riprendere la contemplazione della venuta del Signore in mezzo a noi.

La prima lettura (tratta dal profeta Malachia) ci parla di un’attesa spasmodica di Dio da parte del popolo: si ricerca e si sospira fino a che non arriva il momento, perché da solo Israele non può nulla contro il male e neppure contro la propria infedeltà, che ha causato conseguenze oramai incontrollabili. Ci accorgiamo spesso di quale catena di errori si sviluppi dal male commesso, fino a che a volte gli eventi diventano ingestibili e superano ogni possibile previsione di danno. Non possiamo recuperare da soli, non possiamo rimediare, non sappiamo neanche cosa scegliere per farlo. Anche il mondo è in queste condizioni: il male inflitto ai popoli si riversa sulla natura e da questa di nuovo sulle persone che si combattono e muoiono, causando nuova distruzione.
Ecco perché non si può che attendere una salvezza che porti vita là dove i processi che abbiamo innescato conducono inesorabilmente alla morte.
La venuta del Signore però non è indolore, è così terribile che non sembra possibile resistere: fuoco che fonde e purifica, sapone efficace strofinato con forza. Pulire le ferite, guarire le piaghe, rimediare i disastri sociale ed ecologici, è sempre difficile e doloroso. Lo stesso, anzi di più, vale per i peccati, che corrompono il cuore, il corpo, le relazioni, la storia e la natura. Occorre lasciar portare allo scoperto le piaghe del cuore e del corpo, perdere ciò che dava sicurezza, scegliere nuovi modi di vivere e lasciarsi rinnovare. Tutto questo riporta il popolo e ciascuno ad essere un’offerta gradita a Dio, ma può fare paura.
Luca, d’altra parte, ci descrive questa visita terribile del Signore in una scena per nulla spaventosa: una coppia di giovani genitori porta il proprio bambino al tempio per adempiere alle prescrizioni della legge. La visita terribile di Dio, capace di salvare dal male e dal peccato, si concretizza in un bambino in braccio a sua madre. Un bambino inerme, immerso nella vita del suo popolo, mescolato a tutti gli altri.
Sono Simeone ed Anna a dire su di lui parole che lo fanno uscire dall’anonimato stupendo persino i suoi genitori, parole che lasciano intravvedere quello che ancora è nascosto. In questo bambino si compiono tutte le promesse che il nostro cuore e il mondo attendono: in lui ogni speranza e salvezza. Camminando con lui, che ha condiviso con noi la carne, il sangue e la morte, noi sappiamo che è possibile superare la prova (così si esprime la lettera agli Ebrei), sappiamo che non siamo più sotto la schiavitù della morte e che i peccati sono stati espiati.
Siamo stati salvati perché lui non solo ci ha ottenuto il perdono, ma ha cancellato le conseguenze del peccato. Se dovessimo investire qualcuno e questo rimanesse paralizzato, una cosa sarebbe essere perdonati da questa persona, un’altra vederlo camminare di nuovo. Solo questo ci liberebbe da tutta la pena e la sofferenza frutto del nostro atto. La salvezza di Gesù, annunciata da Simeone e da Anna, ci si offre così: il male e la morte ci sono, ma non hanno su di noi il potere di tenerci in schiavitù, ne vengono annullati gli effetti sul nostro cuore e sulle nostre scelte, in attesa che vengano annullati su tutto e tutti e la salvezza di Dio costituisca la vita di tutto e di tutti. La speranza che ci viene annunciata è che ogni male verrà spazzato via un giorno e non lascerà più alcuna ferita o conseguenza, perché ogni lacrima sarà asciugata e ogni ingiustizia sanata.

Tutto questo comincia con un bambino, con le piccole cose che nessuno considera, con la quotidiana ricerca di un amore che faccia vivere noi e gli altri. E forse là dove noi nemmeno ci accorgiamo di riuscire a farlo, saranno altri a dirci che in questo poco che portiamo fra le braccia risplende la luce delle genti e la liberazione del mondo. Nelle piccole scelte di ogni giorno che cancellano il male e tutte le tracce che lascia sulla terra.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani
24 - Gen - 2020

III Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

III Domenica T.O. (A)

(Is 8,23-9,3   Sal 26   1Cor 1,10-13.17   Mt 4,12-23)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Giovanni, colui che doveva preparare la via, viene arrestato. Questo evento, cupo e angosciante, diventa l’occasione per Gesù di comprendere che è arrivato il suo momento. Il precursore ha fatto ciò che doveva fare prima di essere imprigionato: è il momento dunque di instaurare il Regno che lui si era dedicato a preparare.

E Gesù comincia da una terra marginale, quella in cui è cresciuto, seppure lasci persino la sua città (per essere ancora più ai margini, forse, senza coperture e punti di riferimento), e si ferma a Cafarnao. Matteo, riadattando la profezia che leggiamo nella prima lettura, interpreta la scelta di Gesù con le Scritture: quella terra più volte umiliata, rinchiusa nelle tenebre dell’oppressione, vede la gloria e la luce. Si tratta – come spiega il profeta Isaia – di una gioia dirompente, del tipo che si verifica alla fine delle attese lunghe e faticose: come quando si miete (dopo aver gettato parte del grano senza garanzie di ricavo e attendendo così per mesi, finché non si vede il raccolto spuntato, cresciuto e maturo) o come quando si spartisce il bottino (dopo aver combattuto una guerra ed essere stati quindi, non si sa per quanto, sul punto di perdere la vita).
Che cosa fa Gesù per essere indicato come portatore di tanta e tale gioia in quelle terre e nella nostra? Annuncia il Vangelo, la buona notizia che Dio viene a regnare: insegna perché questa parola penetri nei cuori, e guarisce perché essa porti frutto nella carne che soffre. Da lui esce una parola che illumina ogni notte, libera da ogni oppressione e porta a frutto ogni faticosa ricerca di vita.
Non fa altro che rivelare con le parole e con i gesti, l’immenso amore del Padre, l’amore che fa vivere tutto e ciascuno.
Gesù, poi, non tiene per sé il tesoro che è venuto a portare. Vuole che altri, insieme con lui, annuncino in modo da far entrare sempre più persone in questa grande rete (vi farò pescatori di uomini) che è la famiglia delle figlie e dei figli di Dio. Per questo comincia a radunare intorno a sé alcuni, per primi dei fratelli pescatori, che devono ricomprendere le loro relazioni (dovranno vivere la fraternità una volta lasciato il padre, cioè la struttura sociale che inquadrava la loro vita) e il senso delle loro giornate (lasciate le reti) per vivere solo del Vangelo, preoccupati di far vivere altri, pescandoli dal mare della sofferenza e del peccato.
Ciascun cristiano/a non è che uno pescato da questo mare tramite l’annuncio del Vangelo per il quale ora vive e che continuamente annuncia a sua volta per far vivere altri, come testimonia Paolo nel brano della prima lettera ai Corinzi che troviamo nella seconda lettura. Ma, se è davvero il Vangelo ciò per cui i credenti vivono, fra loro non possono esservi divisioni. Infatti, poiché unica è la parola che ascoltiamo, che facciamo nostra e che vogliamo vivere, non possiamo che essere unanimi nel parlare, in perfetta unione di pensiero e di sentire. E là dove comparissero discordie e divisioni, significa che bisogna tutti tornare al Vangelo, perché evidentemente ci stiamo nutrendo di altre parole e cerchiamo altre strade per giungere alla salvezza.
E così, come in quei lontani giorni nella sperduta e umiliata Galilea delle genti,  oggi in mezzo ad ogni popolo minacciato dall’oscurità e dalla prigionia, gli esseri umani potranno vedere una grande luce e rallegrarsi: il Regno di Dio è vicino, non resta che volgersi verso di esso.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani
17 - Gen - 2020

II Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

II Domenica T.O. (A)

(Is 49,3.5-6   Salmo 39   1Cor 1,1-3   Gv 1,29-34)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Utilizzando le parole con cui si apre la prima lettera ai Corinzi (della quale cominciamo la lettura continuata), potremmo definire la vita cristiana come l’esperienza di essere santificati in Cristo Gesù. Tutti i credenti ovunque si trovino sono dunque santi per chiamata e sono stati santificati in Cristo Gesù. Ciascuna e ciascuno, cioè, ha toccato con mano la liberazione dai peccati, dalle ferite, da ciò che impedisce di camminare e di scegliere il bene e la vita per sé e per tutti. Inoltre tutti sanno di essere accompagnati in un cammino di continua santificazione perché, se continuiamo a fare esperienza del nostro limite e del nostro peccato, facciamo esperienza anche della liberazione e della vita che Dio ci ridona continuamente: ogni volta che veniamo liberati sappiamo con maggiore chiarezza che lui è il Signore che fa vivere.

Tutto ciò, la liberazione da ogni male e persino dalla morte, accade in Cristo Gesù. I cristiani sanno cioè che fra Gesù e la loro vita, nella lotta che quotidianamente sostengono per vivere e far vivere, c’è un legame inestricabile: ogni nostra vittoria su ogni tipo di morte viene da lui. Chi è mai quest’uomo per avere questo potere e non solo su di sé ma su tutti?
Il Vangelo di Giovanni, scelto per questa seconda domenica del tempo ordinario, sembra rispondere proprio a questa domanda. Rispetto ai Vangeli sinottici Giovanni (fin dal prologo del suo Vangelo) accentua la differenza fra il Battista (che non è la luce) e Gesù (la luce vera che doveva venire nel mondo) e forse per questo non ci racconta direttamente il Battesimo di Gesù, episodio che comunque lascia intravvedere una consegna di Gesù nelle mani di Giovanni, ma ci racconta piuttosto la testimonianza che Giovanni dà su Gesù, una testimonianza che indica chiaramente Giovanni come inferiore (tutto ciò che lui fa e dice era per la manifestazione di Gesù) e allo stesso tempo rivela l’identità di Gesù.
Sono proprio le parole di Giovanni, così, a svelarci perché Gesù è colui che ci santifica. Egli è l’agnello di Dio – dice il Battista – colui che toglie il peccato del mondo. Egli ha quindi sul male lo stesso potere che è proprio di Dio, l’unico capace di sradicare il male dal cuore dell’uomo e dalla storia. Egli è così perché è il Figlio di Dio, colui che vive con Dio un’unica vita ed è invaso dallo Spirito di lui, che lo anima in ogni momento. Per questa sua intimità con Dio può santificare coloro che credono in lui e, donando loro con il battesimo lo Spirito che si è fermato su di lui, può renderli conformi a sé, abilitati a combattere il male e a testimoniare la potenza di Dio che libera e fa vivere. Ora noi siamo abitati dallo stesso Spirito che Giovanni ha visto discendere su Gesù e possiamo testimoniarci questo gli uni gli altri.
Proviamo a rileggere allora la prima lettura tratta dal profeta Isaia non solo come capace di spiegare ciò che è accaduto a Gesù, ma come capace di spiegare ciò che accade a noi: il Signore ci ha detto che siamo suoi servi, nella vita dei quali sarà evidente la potenza di Dio contro il male. Quello che siamo, fin dal grembo materno, prende forma dal suo amore perché, come il vento scolpisce le rocce e i monti, così lo Spirito di Dio ci dà la forma di Gesù. Tutto questo per mandarci in mezzo ai uomini e alle donne del nostro tempo, perché abbiano luce e conoscano che c’è una salvezza dal male e dalla morte.
Ad un dono così grande per noi e per tutti possiamo solo credere e rispondere al Signore che ci chiama con le parole del salmo: Eccomi, Signore, voglio fare questo che tu desideri, con tutto quello che sono e che ho ricevuto da te, perché tutti conoscano la buona notizia della tua giustizia a partire dalla liberazione che operi in me e nella mia vita. Facciamo nostra questa risposta, come fecero Paolo, Sosthene e tutti quelli che in ogni luogo e in ogni tempo hanno invocato il nome del Signore Gesù, e il Vangelo si diffonderà con rinnovata efficacia e potenza, reso credibile dalla vita di coloro che sono stati santificati.
11 - Gen - 2020

Battesimo del Signore

Battesimo del Signore

Piccolo Eremo delle Querce – Crochi (RC)

Battesimo del Signore

(Is 42,1-4.6-7   Sal 28   At 10,34-38   Mt 3,13-17)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il tempo di Natale si chiude con la solennità del Battesimo del Signore, in cui facciamo memoriale dell’inizio della missione di Gesù. Dopo anni di vita operosa e umile, intrecciato alla quotidianità della gente semplice del suo popolo e immerso nell’intimità col Padre che si fa strada nella sua interiorità, nel suo sentire e nella sua libertà, Gesù va da Giovanni. Probabilmente è stato discepolo del Battista per un periodo (per un cuore spalancato sul mistero di Dio, come quello di Gesù, Giovanni doveva essere troppo affascinante per non andare ad attingere al suo vissuto) e ora al Battista chiede di farlo rinascere.

Il simbolo dell’acqua indica con forza la rinascita perché tutti i bambini nascono nelle acque in cui sono vissuti nel grembo materno: non si nasce se non bagnati. E così Gesù, in fila con la gente del suo popolo che vuole rinascere ad una vita rivolta verso Dio e non verso il male, va a rinascere: anche lui deve volgersi verso Dio per compiere una missione nuova, deve abbandonare ciò che è stato fino ad ora e nascere a vita nuova. Comincia immergendosi nell’acqua.
Nel racconto che fa Matteo, Giovanni sembra non essere d’accordo con l’idea di battezzare Gesù, esprime piuttosto il bisogno che Gesù faccia rinascere lui per renderlo sempre di più servo del Dio altissimo, ma Gesù insiste: si deve compiere ogni giustizia, è giusto cioè che Gesù ricominci la sua vita, che rinasca a vita nuova, disposto a volgersi a ciò che il Padre desidera per lui. E sul Signore, che spalanca il cuore, la libertà e il corpo ai desideri del Padre, rivolto a lui con tutto se stesso per essere il dono che lui vuole fare al suo popolo, scende lo Spirito.
Lo Spirito che sfugge, il vento inafferrabile, che dice le parole di Dio, che opera le opere di lui, dove vuole, senza che nessuno possa fermarlo o vederlo, questo Spirito si ferma su Gesù: chi vuole vedere lo Spirito di Dio, il suo amore, i suoi pensieri profondi, dovrà guardare Gesù, spinto e soggiogato dall’amore del Padre. E mentre il Padre fa questo dono a Gesù, riempiendolo della sua stessa vita, gli parla (perché i doni portano sempre con sé un significato che va spiegato, portano impresso cioè l’amore di chi dona) e gli dice: questo è il Figlio mio, l’amato, colui nel quale ho posto il mio compiacimento.
Dio così fa rinascere Gesù dicendogli chi è: tu se il mio Figlio. L’identità di Gesù è il suo legame con il Padre, l’appartenenza a lui. L’amore che gli viene dichiarato e donato in questo giorno è ciò che lo spingerà ogni giorno sua vita. E Dio si rallegra: gioisce di Gesù. Nelle parole che Dio dice, inoltre, non si rivela solo l’identità di Gesù, ma anche quella di Dio: se Gesù è il suo figlio amato, vuol dire che Dio è il Padre che ama, deciso dalla relazione con lui. Non semplicemente Dio, ma il Dio di Gesù, il Padre di lui, quello che gioisce guardando Gesù e che non può avere gioia fuori di lui.
Nella prima e nella seconda lettura viene ripreso questo misterioso rapporto fra Dio e il suo Figlio (anche se Isaia parla di un servo e di un eletto) e sempre si sottolinea (e questo è anche il motivo per cui la voce del Padre nel racconto di Matteo è sentita da tutti ed è in terza persona, come se Dio parlasse agli altri di Gesù) che questo rapporto fra loro è la salvezza per tutti. Lo Spirito (l’Amore) riversato su Gesù non è infatti un dono per lui, ma un dono fatto a lui che lo spinge verso il popolo per illuminare, per liberare, per beneficare e risanare tutti quelli che stanno sotto il potere del male (come ci ricorda il discorso di Pietro riportato nel brano degli Atti). Il dono dello Spirito, l’intimità fra Dio e il suo Figlio, non sono un misterioso fenomeno che non tocca la vita degli uomini, ma la fonte della salvezza per tutti e tutte, perché Dio non fa preferenza di persone e a chiunque vuole dona di entrare dentro questa relazione d’amore, facendolo rinascere a vita nuova.
Davvero tuona il Signore con potenza sulle acque, dicendo una parola di amore che lo lega a Gesù e che fa di lui l’alleanza del popolo e la luce delle genti: un nuovo inizio per lui, per chiunque si aggiunge alla fila dei peccatori che desiderano volgersi a Dio e per la storia intera.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani
01 - Gen - 2020

Epifania del Signore

Epifania p. M. Rupnik

Epifania p. M.Rupnik

Epifania del Signore

(Is 60,1-6   Sal 71   Ef 3,2-3.5-6   Mt 2,1-12)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

“Alza gli occhi e guarda: tutti costoro vengono a te!”. Nella lettura del profeta Isaia (e nel salmo che proclamiamo subito dopo) l’invasione dei popoli è vista come la gloria di Israele: gli stranieri la contemplano, si mettono in viaggio e invadono il paese, portando con sé le ricchezze che possiedono. Questa parola sembra paradossale nel nostro tempo in cui gli stranieri sono il nemico da tenere lontano e la loro invasione viene temuta come se il loro arrivo potesse distruggerci. Ma Dio ci annuncia come una buona notizia proprio l’invasione degli stranieri, che ci fanno toccare con mano come il nostro stile di vita impoverisca e affami altri, distruggendo le risorse e l’ambiente. Questi fratelli e queste sorelle fanno un viaggio disperato, fra violenze e fame, per portarci un annuncio che può salvarci la vita: il mondo non è la vetrina luccicante di Natale, dobbiamo operare giustizia e pace e custodire la vita se non vogliamo morire tutti.

Similmente accade nel misterioso incontro fra i magi e Gesù. Essi sono ignari delle promesse fatte ad Israele e, seguendo i loro schemi, finiscono da colui che non avrebbero mai dovuto consultare: Erode. Eppure la stella – i propri desideri? o semplicemente gli strumenti culturali che avevano a disposizione? – li guida da Gesù. Contemplano un re nel quale, pur essendo stranieri e ignari, possono sperare. Gesù (e sua madre) è ignaro di ciò che gli accade intorno. Magari il luccichio dell’abito avrà attratto lo sguardo del bambino o avrà avuto paura davanti ai volti barbuti, subito rassicurato dal tono acuto della voce materna, ma certo il piccolo Gesù è ignaro che questa visita segni una svolta nella storia.
Il Signore, da adulto, dovrà scoprire ciò che i magi già sapevano: non era venuto a benedire solo il suo popolo, ma tutti. Gli stranieri lo intuiscono – guidati dal Padre e dal misterioso agire dello Spirito – prima ancora che Gesù possa comprenderlo: vanno ad onorare colui che di due popoli ne farà uno solo, perché – come leggiamo nella lettera agli Efesini – le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità e a formare lo stesso corpo con Israele, cioè: tutti i popoli sono chiamati a condividere un’unica vita e ad essere un’unica famiglia.
Solo Dio può compiere questo: nessuno è più nemico o straniero, ma tutti sono uno in Cristo, perché Dio ha preso la carne umana, la carne di ciascuna e ciascuno di noi.
Da qui sgorga l’impegno per la giustizia, perché tutti vivano. Ora infatti sappiamo e sentiamo che se si muore in un altro luogo è come se si morisse qui e se non mangiano i figli degli altri è come se non mangiassero i nostri. Solo questo sguardo, che ci fa riconoscere membra gli uni degli altri, porta una vera pace e salva il mondo dalle molte distruzioni che lo minacciano.
Gesù nasce portando con sé questa novità che abbatte ogni muro. I primi che se ne accorgono sono gli stranieri, ignari di lui e delle promesse fatte su di lui, che si mettono in viaggio inseguendo le stelle dei loro bisogni e finiscono per starci davanti come annunciatori di una buona notizia, perché davanti a loro noi siamo costretti a fare memoria che è nato un bambino nel quale tutti siamo fratelli e sorelle, un bambino che ci ha reso una sola famiglia e seguendo il quale non avremo pace fino a che tutti mangeranno e saranno al sicuro.
Vivendo così onoreremo Dio: prendiamo allora dalle mani degli stranieri (che ci avvisano di ciò che Dio vuole facendoci accorgere della realtà del mondo) l’incenso, cioè la possibilità di fare della nostra vita un’offerta a lui costruendo un mondo ospitale per tutti.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani
01 - Gen - 2020

II Domenica dopo Natale

Presepio Rupnik

Presepio p.M.Rupnik

II Domenica dopo Natale

(Sir 24,1-4.12-16 Sal 147 Ef 1,3-6.15-18 Gv 1,1-18)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La liturgia di questa domenica sembra quasi riprendere fiato. Fra tante feste e solennità viene offerta una pausa per rimeditare il mistero che ci è stato messo di fronte agli occhi. Ritroviamo così il Vangelo proclamato nel giorno di Natale, il prologo del Vangelo di Giovanni, ma stavolta la prima lettura ci offre una chiave diversa per ricomprenderlo.

La lettura tratta dal Siracide, infatti, ci presenta la Sapienza, una figura dell’Antico testamento che non viene identificata con Dio, ma che allo stesso tempo è legata a lui in modo tale da renderlo presente ovunque essa è. Viene rappresentata come la figlia che gioca davanti a Dio mentre questo crea il mondo, come l’amica intima che conosce i suoi segreti, come la donna che imbandisce un banchetto in cui tutti possono nutrirsi della vita e della giustizia che viene da Dio. Ella trova la propria gloria solo in Dio, cioè vive di lui e per lui ed è così vicina a lui da rifletterne il volto. Nel brano del Siracide che leggiamo questa domenica ci viene presentata, inoltre, come come colei che pianta le tende per prendere dimora proprio in mezzo al popolo a cui Dio la manda.
Dopo gli avvenimenti della vita di Cristo il brano del Vangelo di Giovanni riscrive questa fede in altro modo: la Sapienza che sta davanti a Dio da sempre, che è rivolta verso di lui e che era presente alla creazione del mondo, viene chiamata Logos (Parola di Dio, il suo pensiero, ciò che ha di più intimo) e Figlio (altro da Dio eppure una cosa sola con lui, dentro di lui, come un figlio nel grembo materno). L’annuncio straordinario è che questa Sapienza (o Figlio) non dimora in mezzo agli uomini solo istruendoli tramite la legge e la vita santa (come comprendeva Israele), ma dimora corporalmente in mezzo agli esseri umani: la Sapienza di Dio ha preso la nostra carne, ha vissuto una vita umana.
Lo straordinario rapporto che ha con Dio (unico, per questo è il Figlio unigenito) ora non è più nascosto: nella vicenda di Gesù contempliamo l’amore che Padre e Figlio condividono e, poiché questo accade in una vita umana come la nostra, ci viene data la possibilità di vedere (ecco perché tanti riferimenti alla luce che viene nel mondo) come vivere anche noi una tale intimità con Dio.
La fede in Cristo ci dà infatti il potere di diventare figli di Dio. Nella lettera agli Efesini leggiamo che siamo “figli adottivi”, non abbiamo cioè “per nascita” l’intimità unica che ha con Dio il Figlio/Sapienza, ma ci viene donata. Ci troviamo così dentro la vita stessa di Dio (come un figlio adottato si trova a condividere la casa e la vita di chi lo adotta): santi e immacolati nella carità. Facciamo nostra allora la preghiera che chiude la seconda lettura: Dio ci doni lo spirito di sapienza che ci apra gli occhi del cuore per comprendere – dentro le fatiche a volte improbe e nell’ordinario oscuro scorrere dei giorni – a quale speranza siamo chiamati e quale tesoro sia l’eredità che ha preparato per noi.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani
29 - Dic - 2019

Maria madre di Dio

Madre di Dio

La tenerezza di Dio

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

Maria madre di Dio
Liturgia

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La solennità di oggi conclude l’ottava di Natale (una sola lunga festa durata otto giorni), mette al centro la madre di Dio e allo stesso tempo guarda allo scorrere del tempo con l’inizio dell’anno nuovo.

La breve lettura tratta dalla lettera ai Galati (unico riferimento seppure indiretto a Maria di tutti gli scritti paolini) ci indica una cesura nel tempo, quando Dio mandò il suo figlio, nato da donna. In quel momento la storia è stata il luogo in cui si è compiuta la promessa delle benedizioni annunciate nel libro dei Numeri. Dio ci ha rivolto il suo volto non più limitandosi a custodire, benedire e ricoprire di benevolenza, ma ha mandato il proprio Figlio. La differenza si misura nel passaggio – sempre spiegato da Paolo – fra l’essere schiavi (in attesa della benevolenza misteriosa del proprio Signore) e figli (in intimità profonda con Dio, abitati dal suo stesso amore e guidati dalla sua logica).
La prima in questo cammino di figliolanza che introduce all’intimità con Dio è proprio la madre di Gesù. Ella ascolta dai pastori ciò che si dice del suo bambino. Le parole ricevute dall’angelo sembrano lontane, ne vengono altre e lei, come aveva fatto con le prime e come farà con quelle che seguiranno, le custodisce e le medita. Gli altri, i pastori, possono ritenersi soddisfatti di ciò che hanno visto e lodare Dio (anche Maria aveva fatto così, quando aveva visto in Elisabetta il segno che l’angelo aveva detto a lei di andare a vedere), ma la madre invece deve restare, custodire e meditare: c’è molto altro da vedere ancora.
Quante parole e quanti gesti ogni genitore custodisce del proprio bambino: le prime parole, quello che gli altri hanno detto, il modo di dormire e di piangere, i capricci, gli episodi che diventano leggendari in ogni famiglia quando i figli ci stupiscono o ci rallegrano improvvisamente. Siamo come di fronte ad un miracolo continuo: una vita nuova che si apre davanti ai nostri occhi, senza veli, eppure in un mistero indisponibile. Sono i nostri figli, sappiamo tutto di loro, eppure ciò che essi sono ci sfugge e ci supera.
Maria vive questa esperienza in modo estremo, perché in questo bambino si nasconde il segreto di Dio, il volto del Padre, il soffio leggero dello Spirito. Lei ascolta le parole che vengono dette su di lui, forse per comprendere, forse per essere all’altezza di quello che le viene chiesto, forse per dire a Gesù queste parole mentre cresce, con quella leggerezza che appartiene al quotidiano nel quale le madri sanno insegnare le verità più profonde dell’esistenza, mentre si sistema una stanza, mentre si fa una passeggiata, mentre si lavano i piedi o si accarezza la testa prima di dormire. Parole custodite, meditate e offerte al Signore che cresce: l’umanità di Gesù si nutre di ciò che Maria medita e custodisce nel cuore e poi, un giorno, lei si nutrirà, come discepola, di ciò che il cuore di Gesù offrirà al mondo.
Si tratta di un tempo benedetto il nostro, un anno nuovo per meditare e custodire le parole che Dio ci offre, per saper poi riconoscere, come Maria, il Maestro capace di insegnarci la vita dei figli e di introdurci, già ora, anche quando sembra impossibile per le contingenze a volte impietose, nella pienezza della vita.
26 - Dic - 2019

Festa della Santa Famiglia

Santa Famiglia

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

Santa Famiglia

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Maria, Gesù e Giuseppe si trovano a dover vivere in modo totalmente nuovo l’esperienza di essere famiglia. Gesù non è figlio di Giuseppe e Giuseppe, quindi, non è padrone del proprio figlio né della propria moglie, come era a quei tempi. Maria è madre di un bambino che non le appartiene e che se ne andrà senza prendere il proprio posto nella struttura della famiglia e della società civile, inoltre si trova in una posizione di libertà insolita nei confronti del marito perché non è suo possesso. Gesù è figlio obbediente, ma teso ad un Padre esigente che lo porterà a contravvenire ai propri doveri di primogenito maschio.

Si tratta dunque di una famiglia fuori dagli schemi del proprio tempo, strutturata non sulla base delle regole sociali e religiose ma solo sull’ascolto della parola di Dio. L’ascolto della parola ha portato Maria a questa insolita maternità che le dà anche un’indipendenza singolare e l’ascolto della parola ha portato Giuseppe a prenderla con sé. Sempre questo ascolto porterà Gesù fuori dalla struttura familiare in cui avrebbe dovuto vivere.
Nel Vangelo di questa domenica Giuseppe sogna (e quindi ascolta la voce di Dio) ben due volte: la prima per fuggire in Egitto (esule) e la seconda per tornare a Nazareth. Tutte e due le volte l’evangelista sottolinea come l’ascolto sapiente di Giuseppe realizzi una parola pronunciata dai profeti, lasciandoci intendere che la logica di questo uomo giusto è la logica della parola di Dio. Non solo sogna, ma, come l’antenato di cui porta il nome (il figlio amato di Giacobbe), è capace di interpretare i sogni secondo il pensiero di Dio che ci è testimoniato in modo precipuo dalle Scritture. Tocca a lui applicare tutte le decisioni, perché nel primo secolo le donne erano considerate incapaci come i bambini e quindi non potevano decidere di sé né di altri, ma Giuseppe decide sempre e solo sulla base di ciò che Dio dice, costituendo la propria famiglia intorno alla parola di Dio.
Questa, poi, è capace di dare un nuovo significato anche alle relazioni che sembrano più “naturali” e di stravolgere le regole pensate da ogni società per la famiglia. Nella prima lettura il libro del Siracide ripresenta il quarto comandamento, onora il padre e la madre, aprendolo oltre la sensata gratitudine e al di là dell’interesse personale (curare i genitori permette infatti subentrare nel loro ruolo o nell’eredità). Si insegna un amore rispettoso, che cerca di onorare chi invecchia e al quale si deve la vita. C’è una giustizia in questa memoria grata che non comporta certamente un’obbedienza cieca ai genitori, né la consacrazione di un sistema sociale centrato sugli anziani, ma piuttosto si tratta di contraccambiare l’amore proprio mentre non si ha più bisogno dell’altro. Si amano coloro che ci hanno dato la vita non più perché dipendiamo da loro, ma perché rendiamo onore a ciò che sono e alla fatica che hanno fatto per crescerci: gratuitamente siamo stati amati, gratuitamente amiamo coloro da cui non dipendiamo più.
La seconda lettura, tratta dalla lettera ai Colossesi, sembra ricapitolare tutto quanto detto fin qui. Ricorda ai credenti di vivere l’umiltà, il perdono vicendevole, la carità e la pace, ma, perché questo sia possibile, esorta a far dimorare la parola di Dio in mezzo a loro. La famiglia cristiana si caratterizza proprio per questo dimorare della parola di Dio, continuamente richiamata con ogni sapienza e poi cantata con riconoscenza. Solo così tutto ciò che faremo, parole e opere, sarà nel nome del Signore Gesù e saremo riconoscenti e in pace. Vivendo così non ci sarà più la sottomissione delle mogli (propria delle culture sessiste e ingiuste) ma la sottomissione “come si conviene nel Signore”, cioè una sottomissione reciproca, come ricorda la lettera agli Efesini. Nel primo secolo infatti non si poteva predicare l’uguaglianza fra moglie e marito (sarebbe come predicare oggi il fatto che l’imprenditore riceva uno stipendio come il dipendente), ma la struttura ingiusta che sottometteva la moglie, anche se non poteva essere tolta, poteva essere resa innocua dall’amore e quindi dalla sottomissione reciproca.
Simile è poi il discorso per i figli: questi debbono obbedire (d’altra parte questi sono incapaci di giudizio fino a che non diventano grandi), ma (e questa è la nota evangelica da sottolineare) i padri (che allora erano ritenuti padroni dei figli) non devono esasperarli, riscoprendo il loro ruolo di guida e custodi, lontani dalle logiche di dominio.
Solo la parola di Dio può rendere tali le relazioni familiari, come è stato nella prima chiesa, come è stato per Giuseppe, Maria e Gesù. Dimori allora la sua parola abbondantemente tra di noi, non si spenga mai il suono di ciò che dice, nemmeno nel silenzio del sonno, perché come la famiglia che ha cresciuto Gesù non ci domini altra logica che l’amore e il servizio reciproco.

 

23 - Dic - 2019

Santo Natale (giorno)

Presepio Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

Santo Natale (giorno)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Ogni bambino che nasce è una novità assoluta: l’umanità ha l’occasione di ricominciare in una storia nuova, che non è costretta a ripetere ciò che è stato. Infatti ogni essere umano è unico e nessuno può sapere quale catena di conseguenze scaturiscano da una nascita: quali incontri, quali eventi, quali percorsi. Ognuno che nasce cambia la fisionomia del mondo, come un solo filo tirato stravolge l’intreccio accurato del tessuto, ma quello che è vero per tutti e tutte in Gesù è vero come per nessuno/a.

La liturgia del giorno di Natale contempla quanto accaduto nel buio della notte e si ferma sul fatto che la luce che è apparsa è in realtà un bambino, un essere umano fragile, carne. In questa carne, nella sua storia, Dio – quel Dio che nessuno ha mai visto – si è fatto visibile. Guardando come Gesù ha vissuto, quello che ha detto e fatto, ciascuno ha la possibilità di contemplare la gloria che viene dal Padre, può cioè riconoscere che lui ha con Dio un rapporto unico da sempre (questo significa che era presso Dio ed era Dio), un’intimità speciale, che lo rende capace di illuminare tutti con quella stessa luce che riempie tutto il creato e che lui conosce perché tutto è stato fatto per mezzo di lui.
Accogliere lui, riconoscerlo, permette di rinascere come figli di Dio. Mentre celebriamo la nascita di Gesù, dunque, celebriamo la nostra rinascita, perché chi riconosce nella storia di Gesù quella del figlio di Dio, si mette sulla stessa via e così, anche lui/lei, ricomincia a vivere (rinasce) come figlio/a di Dio, cercando di avere gli stessi sentimenti di Gesù, i suoi pensieri, il suo amore, in modo che la propria carne mostri (proprio come quella di Gesù) il Padre.
Questa è la salvezza che tutte le nazioni aspettano di vedere (come ci ripete di nuovo il profeta Isaia): la vita del Figlio di Dio, nella quale risplende il volto del Padre, altrimenti invisibile, e la vita di quelli che in lui sono rinati e che mostra, anch’essa, il volto del Padre. A questo punto (come ci spiega la lettera agli ebrei) Dio non ha più bisogno di parlare, i profeti non hanno più niente da aggiungere, i sacrifici finiscono, non occorre più alcun messaggero angelico che medi fra Dio e gli uomini: in modo ultimo Dio ha parlato per mezzo del Figlio, fondamento e fine di tutto ciò che esiste.
La vittoria di Dio, la sua salvezza, la sua parola, hanno preso carne, la carne di Gesù. Siamo chiamati a immergerci in essa, non per intenerirci di fronte ad un bambino, ma per contemplare e custodire tutto di lui, ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola, e fare nostro tutto il suo vissuto. Vivendo questo dono che abbiamo ricevuto daremo l’occasione all’umanità di conoscere Dio e accadrà che tutti i confini della terra vedranno, in coloro che sono rinati da Dio, la salvezza di lui e proromperanno così in grida, acclamazioni e in un unico canto nuovo che celebrerà tutte le meraviglie del Signore.
23 - Dic - 2019

Santo Natale (notte)

Presepio Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

Santo Natale (notte)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Celebriamo la nascita di Gesù di notte, perché abbiamo bisogno di stare al buio. Non perché Gesù è nato di notte, quasi in una ricostruzione romantica degli avvenimenti di allora, ma perché Dio viene ad illuminare le tenebre in cui noi e il mondo si trovano. Per celebrare il Natale dunque bisogna prima di tutto aprire gli occhi ed accorgersi di essere immersi nelle tenebre.

Il profeta Isaia ci presenta il popolo che deve camminare nelle tenebre. Immaginiamo le persone inciampare, stringersi le une alle altre, sbattere contro gli ostacoli, perdersi, tendere le orecchie impaurite dai rumori senza distinguere che ombre. Un viaggio sofferto, lento, terrificante. E poi, improvvisa, la luce, a rallegrare. Sarà un bambino, dice il profeta, a portare questa luce che costruirà una pace senza fine.
Questo racconto antico si rinnova nella pagina di Vangelo raccontata da Luca: nella notte, vegliando il proprio gregge, i pastori ricevono l’annuncio di una grande gioia, mentre vengono avvolti dalla luce, e devono mettersi in cammino al buio se vogliono vedere il segno che è stato loro promesso. Anche Gesù, appena nato, ha compiuto un viaggio nel buio, durante il travaglio del parto che l’ha portato alla luce.
Si deve stare al buio se si vuole gustare la luce. E così, come quando ci si allontana dalla città per godersi la stregante bellezza del cielo stellato che mostra ciò che sempre c’è e mai riusciamo a vedere per la troppa luce, se vogliamo vedere la luce che questo bambino porta, dobbiamo uscire al buio: accogliere il buio del nostro cuore, delle nostre fatiche, delle nostre povertà, delle nostre paure, e accogliere il buio degli altri e della storia. Fermi così vedremo la luce che questo bambino è, una luce capace di rischiarare ogni tenebra.
In questo bambino infatti si fa visibile e palpabile quanto Dio ami il mondo, poiché ci dona il suo Figlio in modo che – come leggiamo nella lettera a Tito – impariamo a rinnegare l’empietà e a vivere con giustizia e pietà. Seguendo lui, scopriremo che ha dato tutto se stesso per liberarci da ogni male e renderci pieni di opere di bene. Questo Dio ha fatto per noi, perché non continuassimo ad inciampare nelle tenebre, perché non restassimo schiavi del male e condannati a ripeterlo, perché non fossimo privati della speranza. In questo bambino abbiamo una possibilità nuova, la storia intera può ricominciare, ciascuno di noi può scegliere di nuovo di vivere. E, ora, di fronte a questa luce, come di fronte all’esercito schierato delle stelle che fa del buio l’occasione per risplendere, può prenderci una profonda commozione e così dal cuore pieno di gioia sgorga la lode riconoscente: gloria a te Signore che hai fatto questo per noi e, su voi fratelli e sorelle, su ciascuno di noi, su ogni creatura e sul mondo intero, finalmente la pace.